At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 oppure 1Cor 5, 6-8
Gv 20,1-9
“… e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
Oggi, giorno di Pasqua, il Vangelo proclamato nella liturgia può apparire un po’ singolare. A differenza degli altri racconti della risurrezione qui non c’è nessuno che annunci la Risurrezione di Gesù. E la frase conclusiva ci parla di una fede, di un discepolato, ancora senza risurrezione. Ci può essere un discepolo di Gesù che non corre al sepolcro, non entra nel sepolcro vuoto, rimane inchiodato nel ricordo del passato. Di ciò che non c’è più. Solo un ricordo.
Una fede cristiana senza risurrezione. Non ci deve stupire se, come ci dicono i dati, vi sono molti cristiani che non credono nella risurrezione né di Gesù, né della propria. Non può sorprenderci se pensiamo a quanta angoscia e comportamenti ossessivi alimenti di continuo la paura della morte. Anche tra i battezzati. La conferma di quanto poco sia radicata la fede nella risurrezione è che l’orizzonte rimane sempre di più quello terreno, quello dello spazio che abbiamo per vivere. Tutto qui. SE tutto è qui – ora, ogni cosa assume un’importanza enorme.
Penso che questa Solennità, che è al centro della nostra fede, ci debba interrogare seriamente, perché proprio qui c’è quello che ci differenzia. S Paolo lo dice chiaramente: “Se Cristo non è risorto, vana è la Vostra fede” (1Cor 15,17).
Maria di Magdala, Pietro e il discepolo che Gesù amava in quell’andare al sepolcro vuoto sono consegnati ad una prospettiva nuova. Che prima non avevano. Al mattino di Pasqua avviene in loro una conversione.
Prima di tutto, ciò che appariva evidentemente la fine, la conclusione di un bel sogno, di progetti ambiziosi, di speranze, non lo era, non doveva essere inteso in questo modo. La risurrezione di Gesù apre la loro mente ad una valutazione diversa della morte, del fallimento umano, della sconfitta. Cambia il loro rapporto con il Maestro. Perché cambia la prospettiva? Perché capiscono che ciò che li attende, ciò che sta loro innanzi non è la semplice conseguenza di quello che è successo (cioè della morte in croce di Gesù). La parola fine non è stata né pronunciata né scritta. C’è, al contrario, un inizio. La risurrezione del Crocifisso ha inaugurato qualcosa di nuovo da scoprire, fuori di ogni criterio umano di forza, di vittoria, di potere.
D’ora in poi c’è un imponderabile, qualcosa di imprevedibile che scombina di continuo le logiche umane. Il cristiano è aperto alla sorpresa di Dio.
Non solo. La risurrezione di Gesù conferma che egli è vivo. E quindi la fede continua ad essere un cammino di discepolato: Lui continua a far risuonare la sua Parola, il suo invito a lasciare e a seguirlo. Lui continua ad affiancarsi nel nostro cammino e ad agire. La poca fede nella risurrezione ha ridotto la nostra fede ad un’osservanza di norme, di precetti, con la convinzione che una volta rispettati possiamo sentirci a posto. Possiamo stare tranquilli. Abbiamo cercato un indefinito benessere legato a comportamenti religiosi, a sentimenti provati, perché in fondo l’orizzonte rimane quello psicologico: misuro tutto sul mio stare bene (questo mi fa star bene!). Ricerca di un benessere immediato.
La fede nella risurrezione scardina gli spazi ristretti nei quali ci siamo barricati, illudendoci che presidiando il fortino lasciamo fuori le angosce, le allontaniamo. E invece è esattamente il contrario: quanta ansia, angoscia stiamo provando.
Il Crocifisso è Risorto. Allora il mio/tuo/nostro futuro dipende da me/te/noi, ma non è nelle nostre mani perché come ci ha ricordato S. Paolo: “la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio!”. È solo così che è al sicuro, garantita dallo spettro della morte che ci rende schiavi. Solo così il futuro ha in sé quell’imprevedibile che solo Lui sa dare e sa intravvedere per la nostra vita.
Per questo continuiamo ad augurarci: Buona Pasqua. Perché diventiamo sempre più figli della Pasqua, in attesa che si manifesti in pienezza Colui che è vivo e ci precede. Ovunque.