La pagina della vite e i tralci appartiene al lungo discorso di Gesù che il IV vangelo colloca in prossimità del compimento dell “ora”. Vale a dire del momento decisivo per il quale il Verbo si è fatto carne. L’Ora è il cuore della rivelazione, della manifestazione dell’Amore invincibile di Dio.
Rimaniamo sull’immagine della vite, così come ci viene presentata dalle parole di Gesù. Attraverso questa immagine a Gesù preme evidenziare il duplice legame che è presente in ciò che sta accadendo: il legame di Gesù con il Padre e quello che Lui mantiene con ogni suo discepolo. In quest’Ora le due relazioni si rivelano e si compiono. Questo legame è necessario ma per nulla garantito. C’è una minaccia che lo sovrasta. Tanto è vero che l’immagine serve ad esplicitare una serie di possibilità in cui si dà il rapporto tra i tralci e la vite. In cui si può dare la nostra relazione con Gesù (e quindi tra di noi).
Quello più drammatico: quando i rami si seccano perché non sono più uniti alla vite e così vengono raccolti e bruciati. Se il legame con Gesù si affievolisce, se la Sua vita e la Sua parola non alimentano la vita del battezzato, l esito è la morte. Allora c è un primo livello che deve essere garantito: permettere la comunicazione del Suo amore. Permettere di essere custoditi da Lui. Solo così si rimane uniti. La mondanizzazione del pensare, dell agire, degli stili di vita, la riduzione del tempo riservato a Lui… creano in-differenza. Se il vivere è come se non… qual è la differenza rispetto a chi non crede?
C è poi un altro modo in cui si dà la relazione con Gesù: è il legame del tralcio con la vite che produce solo foglie o ben pochi frutti. “Ogni ramo che è in me e non dà frutto, egli lo pota perché dia più frutto“. C è una vita cristiana, una esistenza battesimale che può trascinarsi senza frutto, semplicemente perché si accontenta di rimanere nel solco delle tradizioni, delle pratiche religiose da ripetere. Per pura abitudine. Per rendere feconda l’azione dello Spirito Santo in noi è richiesta la disponibilità al sacrificio e al morire. A questa condizione si porta più frutto. Quella raccontata da Gesù è la vita cristiana che non trasforma l’esistenza nella forma del Vangelo. È la sequela ‘condizionata’, vissuta cioè con il freno, che vuol tenere sotto controllo il grado di coinvolgimento. È il preferire la ripetizione rassicurante alla imprevedibile novità evangelica.
Eccoci introdotti nell’autentica relazione con il Signore: è quella che prevede la conversione permanente alla Parola e la conformazione all esistenza pasquale di Gesù. In questa prospettiva il frutto è dono, sorprendente. Il frutto dipende da Lui, dalla potenza del Suo amore: “non avrei mai immaginato di essere così…”. Tanti ostacoli a cammini di comunione, di fraternità, di unità sono generati dalla tiepidezza della nostra adesione alla logica del dono. Non crediamo che quel “dare la vita…” sia possibile (prima di tutto per me), sia vera via di salvezza. Questa è la potatura più grande: far morire in noi la preoccupazione/volontà di salvare la vita da noi stessi, confidando invece che essa si salvi nel dono.
La via dell unità è permettere a Gesù Cristo di prendere forma in noi (il tralcio dà il frutto della vite!). E il tralcio, un po’ alla volta, diventa vite. È lasciare che prenda forma in noi Colui che, pur essendo il Maestro e il Signore, si piega a lavare i piedi ai suoi. Lasciare che prenda forma in noi Colui che “avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”. Senza trattenere nulla per sé. L’unità è “il molto frutto” che è promesso e che ci sarà dato di raccogliere e di cui beneficiare. L’unità, come il frutto della vite, ha bisogno delle stagioni: matura con il tempo e porta con sé anche l’abilità e la pazienza dell’agricoltore.
Sosteniamoci allora nella preghiera e nella testimonianza reciproca di desiderare e di voler rimanere nel Suo amore.