Ap 7,2-4.9-14
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12a
La prima volta che sono entrato in Cattedrale nella sua bellezza e armonia delle linee, la mia attenzione è stata attirata dal polittico sullo sfondo del presbiterio. Mi ha calamitato lo sguardo.
A parte l’eleganza e la leggerezza di questa opera della metà del 1400, a catturare lo sguardo sono state le immagini che la compongono, attorno all’Assunta, al Redentore e a Dio Padre. Con ordine sono rappresentati i santi a cui è legata la Chiesa piacentina.
La santità nel suo splendore è posta innanzi a chi entra, ed è davanti agli occhi quando si celebra. L’oro che riveste il legno richiama la presenza di Dio, che avvolge l’umanità esemplare. Dio si rende tangibile in questa umanità. Sono nella terra (e dalla terra), ma al contempo appartengono al cielo. La loro vita partecipa della vita di Dio. E’ rappresentata ancora la varietà dei santi: diversità di genere, di stati di vita, di età ed epoca.
Questa opera attira lo sguardo e attrae, avvicina. Penso sia proprio questa la santità: un’esistenza di uomini e di donne che cattura l’interesse e che spinge ad avvicinarsi, a vedere da vicino. Il santo suscita il desiderio di poter condividere la sua stessa forma di vita.
In questa epoca del successo ricercato in modo ossessivo, nella stagione dei followers da esibire, possiamo correre il rischio di applicare lo stesso criterio alla nostra vita cristiana o di leggere il santo come colui che ottiene ciò che si è prefissato. L’influencer ante litteram. Invece la santità è percorrere una strada spesso non prevista o addirittura verso la quale all’inizio si nutre diffidenza o rifiuto. La santità è frutto di docilità ad un Signore che apre vie che testimoniano la fecondità dell’obbedienza alle sorprese di Dio. E così si scopre quanto sia originale la via di ciascuno, che prende forma dentro a situazioni le più varie.
Mentre per il passato l’agiografia (cioè la vita dei santi spesso idealizzata) alimentava la vita cristiana, oggi rischiamo di credere di poterne fare a meno. Si può desiderare qualcosa che non conosci? Si capisce perché oggi veniamo abbagliati ed attirati da chi ci raggiunge quotidianamente con le sue performances.
È un invito – questa solennità – a farci familiari della vita dei santi (oggi più realistica, come nel caso di Madre Teresa della quale abbiamo conosciuto anche la sua aridità spirituale). Perché la Chiesa nei secoli è sempre stata attenta ad attorniarsi del ricordo della loro presenza: le immagini nelle Chiese (basta guardarsi attorno), le feste patronali e la liturgia in genere, le litanie dei santi, l’onomastico… Sono state le forme attraverso le quali i santi ci hanno accompagnati e sostenuti nel desiderio di fedeltà. Una fedeltà multiforme. Abbiamo avuto conferma dell’importanza e della verità di questo dalla recente canonizzazione di Mons. Scalabrini e dalle beatificazioni di sr. Leonella e di d. Beotti. Storie differenti, un’unica santità, declinata in modo singolare e originale.
Tutto questo a conferma perché una vita battesimale decolli, rispetto alla mediocrità, ha bisogno di essere circondata dalla testimonianza dei santi di ieri e di oggi. Da quelli riconosciuti tali dalla Chiesa e da quelli riconosciuti dal sensus fidei presente nel popolo di Dio.
Ciascuno allora famigliarizzi con la vita di qualche Santo perché c’è in gioco la qualità della nostra vita battesimale e, in definitiva, della nostra vita in pienezza.