Ap 7,2-4.9-14

1Gv 3,1-3

Mt 5,1-12

Nella odierna tradizionale celebrazione al cimitero ci lasciamo condurre dalla Solennità  di Tutti i Santi. Nella visione del libro dell’Apocalisse stiamo contemplando una moltitudine variegata e variopinta di Santi. Ricordiamo che lo sguardo in cielo non è per allontanare il nostro sguardo su quello che viviamo in questa terra. Al contrario, il cielo ci fa da specchio, quello che vediamo lì lo possiamo trovare qui, tra di noi. Quella moltitudine di Santi è lì perché ha camminato sulla terra.

Allora come guardare questo luogo di tombe? Proprio per questo esso è un luogo che immediatamente ci parla di morte, di dolore, di distacco. Qui è custodita, è raccolta la storia che ci precede: una storia di fede, di dedizione, di passione e di servizio per il bene di tutti. In ogni tomba, simbolicamente, è racchiuso un tesoro di vita, di relazioni; un intreccio di fragilità e di peccato, ma insieme di misericordia, di grazia, di amore; di eroismo spesso silenzioso, ma non per questo insignificante.

Nella Solennità di Tutti i Santi ci è assicurato che la santità è raccolta tutta presso Dio: niente, infatti, è andato perduto (neanche un bicchiere d’acqua, una visita, qualche scampolo di tempo donato senza interesse…). Se presso Dio tutto viene portato alla luce attraverso il giudizio che ci attende, in cimitero lo stesso bene ci viene richiamato alla memoria. È vero che per molti il cimitero non è frequentato perché portatore di sofferenza e perché rende viva la mancanza, il distacco, ma è anche vero che qui possiamo attingere forza e coraggio dalla testimonianza di chi ci ha preceduto. Qui possiamo avere la conferma che proveniamo da una storia di amore. Qui rinnoviamo con gratitudine il ricordo di quanto amore occorre per fare un uomo, una donna, per custodirli, per far crescere in ciascuno di noi l’umano che sempre apprendiamo per attrazione, in forza di testimonianze credibili.

Quest’anno il tornare al cimitero, o magari il venirci dopo tanto tempo, ha alle spalle un’urgenza sociale, civile e comunitaria. È veramente un rito che una città deve fare. La morte, in questi ultimi decenni, l’abbiamo rimossa, allontanata in mille modi. Ed essa è entrata negli ultimi mesi con una forza travolgente, con tutta la sua violenza. È meglio dire non la morte, bensì il morire. Si stava facendo strada una diffusa mentalità eutanasica e improvvisamente facciamo i conti con la fatica di accettare che i nostri anziani ci vengano portati via. La morte è diventata realisticamente una possibilità: sia essa il mio morire o quello di una persona cara.

Questo diventa il tempo delle domande, è il momento per ridare valore alle cose, agli impegni, e soprattutto ai legami.

Ecco l’annuncio che raccogliamo nella fede del Signore morto e risorto: la nostra vita è dall’inizio e oltre la nostra morte nelle mani del Signore della vita. Noi siamo custoditi dal Padre per il quale siamo e restiamo figli. Solo questa relazione è capace di non farci sentire in balìa dell’imprevisto, di una minaccia vera, reale, che in questo sentire diventa angosciante.

Oggi celebriamo ancora una volta la Pasqua del Signore Gesù: se rimaniamo in lui possiamo vivere da risorti, quindi vincitori sulla morte, perché il futuro ci è già assicurato. Soprattutto il futuro non dipende da noi. Questa dipendenza genera generalmente le nostre angosce mortali.