Ap 7,2-4.9-14
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12
In questa solennità di “Tutti i Santi” noi contempliamo tutta la santità custodita in cielo. Oggi troviamo per noi una rivelazione e un appello. Prima di tutto ci viene svelato qualcosa di importante. La pagina dell’apocalisse ci descrive una moltitudine di santi che nessuno può contare. È “di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Quindi una santità senza misura e universale. La si può trovare ovunque: essa si declina in ogni cultura e appartenenza. È diffusa ed è variegata, di colori vivaci. Perciò è abbondante.
Già questo primo dato ci obbliga ad interrogarci su quanto ne siamo consapevoli: noi che come tutti, forse, continuiamo a ripetere che le cose vanno male, noi abbagliati dalla cronaca non riusciamo a contemplare il mistero, vale a dire la realtà profonda. Invece la santità ci circonda. Forse noi stiamo pagando il conto di aver ridotto la santità al Santo canonizzato. Papa Francesco nella sua Lettera Apostolica “Gaudete et exsultate” ce l’ha avvicinata così da invitarci a riconoscere i santi della ‘porta accanto’. Ed è vero che nel processo di identificazione del santo con la persona perfetta, priva di difetti, abbiamo quasi di-sumanizzato il santo. Invece il santo ha una carne, un temperamento, una storia che lo segna: nonostante questa concreta vicenda personale egli vive la santità. Meglio, dentro ad essa vive l’immagine del figlio, unito al Figlio Gesù.
Ma come è precisata questa Santità? È descritta con quell’acclamazione che esce, gridando, dalle labbra di questa moltitudine: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”. Santi sono coloro che smettono l’illusione di poter salvarsi con le proprie mani. Il nemico della santità è la presunzione e l’affanno di salvarsi da soli, con le proprie mani (cioè con quello che facciamo), con la propria bravura (i meriti che accumuliamo con le nostre buone opere).
Nel Vangelo Gesù identifica i santi con i “poveri in spirito”: chi accetta con fiducia la realtà, confidando che Dio possa condurre al bene ciò che ora appare contraddire i nostri desideri.
Santi, ci rivela ancora la pagina dell’Apocalisse ascoltata, sono coloro che nella tribolazione hanno lavato le loro vesti, “rendendole candide nel sangue dell’Agnello”. Il linguaggio è volutamente paradossale. Il sangue lascia la sua traccia in modo quasi indelebile, come possono essere rese bianche le vesti immerse nel sangue? Proprio perché il sangue dell’Agnello è la sua vita donata, è quel sangue versato che anche noi siamo invitati a bere. Significa attraversare la tribolazione con Gesù crocifisso con noi.
Ieri, nelle risposte dei giovani della diocesi al questionario dato loro per capire come avevano vissuto il tempo della pandemia, qualcuno si richiamava alla vita di Gesù donata nella solitudine e nell’abbandono. L’esperienza vissuta ha fatto loro intuire la vicinanza con quanto Gesù ha vissuto nella sua Passione. Anche per noi, segnati dalla tribolazione della pandemia, c’è un invito a unirci a Gesù che trasforma la croce, un luogo di morte e di desolazione, in un luogo di amore. Pensiamo a quante persone in questi mesi hanno e stanno abitando le tribolazioni imposte con uno spirito di dedizione, di offerta, di sacrificio nel morire a sé stessi. Sembra un paradosso, che cioè avessimo bisogno di questa tribolazione per aprire gli occhi su tanta santità che ci è accanto.
Ecco allora l’appello: la chiamata alla santità altro non è che la chiamata a vivere da figli, da figlie. Noi siamo già figli di Dio, ma questa immagine sta prendendo giorno dopo giorno forma e va verso il compimento. Domani faremo memoria di coloro che ci hanno preceduto in questo cammino e godono pienamente di questa rivelazione.
Questa speranza, conclude San Giovanni, ci purifica e ci fa assomigliare a Lui. Buon cammino di Santità a tutti.