Es 24,3-8
Eb 9,11-15
Mc 14,12-16.22-26
Questa Solennità, nota per riaffermare la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, ha per noi, oggi, una ricaduta spirituale e pastorale molto significativa e, direi, provocante. La rimessa in discussione della presenza di Gesù nell’Eucaristia si manifesta nel fatto che essa è spesso irrilevante per la nostra fede. Basti pensare all’affermazione diffusa: “Io credo, ma non vado a messa” … oppure “Cosa serve andare a Messa?” …
Andare a messa o, meglio, il non andarci più sta diventando per i giovani una sorta di cifra del loro diventare adulti/grandi. La cosa ha del paradossale: per alcuni secoli la partecipazione all’Eucaristia era il culmine dell’iniziazione cristiana. Era, cioè, il segno dell’adulto nella fede, del culmine del suo cammino di vita cristiana. Oggi, l’esito del cammino di iniziazione cristiana per molti nostri adolescenti e giovani è l’allontanamento, l’abbandono della partecipazione all’Eucaristica.
È chiaro che non serve a niente prendersela con l’effetto. Proviamo a chiederci piuttosto qual è il valore che noi diamo alla nostra partecipazione eucaristica… cosa comunichiamo? Cosa testimoniamo?
Nel corso del tempo il rispetto che si riservava al tabernacolo (con la custodia dell’Eucaristia) e verso l’ostia è stato molto ridimensionato, senza peraltro recuperare lo stupore verso questa presenza di Gesù. Ci siamo forse troppo abituati a qualcosa che, al contrario, dovrebbe sempre farci gioire e stupire.
Gesù è presente nel gesto estremo del suo Amore: nel suo continuo donarsi a noi. È il segno, l’Eucaristia, della sua fedeltà nonostante la povertà delle nostre persone, delle nostre comunità, di noi suoi ministri. Non può non stupirci tanto amore. Gesù è presente con il suo corpo (donato), con il suo sangue versato (e per questo sparso, buttato e non più recuperabile).
Pane spezzato e vino/calice condiviso rimangono in mezzo a noi a dire che l’amore di Gesù è a disposizione di tutti.
Sarebbe poco credere che Gesù è realmente presente nell’Eucaristia se fosse sminuita la forma di questa presenza, vale a dire il gesto di donarsi perché noi abbiamo vita.
Quanta abitudine annacqua e dissolve questa verità così grande. Forse il motivo è che ci è più comodo un Dio lontano, meno provocatorio, impegnativo, più scontato…
Perché il riconoscere questa presenza va unito all’altro gesto, forse anche questo un po’ svilito, che è quello della comunione. Gesù è presente non per ricevere applausi e neanche solo per essere adorato (peraltro esercizio spirituale molto opportuno per alimentare la nostra fede). Gesù si rende presente per essere mangiato, per nutrirci. Cioè per trasformarci nel suo corpo, per essere a nostra volta, con Lui, consumati nel dono. Una comunità eucaristica, un discepolo, plasmati dall’Eucaristia trovano qui la misura del loro essere e del criterio per impostare la vita.
Centrarsi sull’esistenza donata (cioè sull’Eucaristia) permette di diventare realmente corpo di Cristo. E, per questo, strumento attraverso il quale Gesù continua a manifestare la forza dell’Amore. Fare comunione è accettare che la nostra esistenza, il nostro corpo, la nostra vita (appunto il sangue) non ci appartengano più e che divengano parola, gesto, cura di Cristo.
Non è poca cosa che la nostra debolezza sia assunta dal Verbo di Dio, divenga la sua carne, che l’esistenza intera di ognuno e di tutti possa dire l’amore di Cristo per questo nostro tempo.
C’è una chiamata, nella partecipazione all’Eucaristia, che eleva le nostre persone e le rende così preziose, perché parte del mistero di Dio. Possiamo intuire che mancare a questo momento di grazia rischia di farci risucchiare dalla nostra debolezza e dai nostri poveri criteri.
Allora ogni volta che accettiamo l’invito al banchetto dell’amore accettiamo di diventare attori di una storia di Amore. Quella di Dio. Storia di Amore per il mondo.