Cattedrale – 08.06.23
Dt 8,2-3.14b-16a
1Cor 10,16-17
Gv 6,51-58
Questa festa nasce in presenza di affermazioni, sostenute in particolare da Berengario di Tours, che negavano la presenza reale di Cristo nel pane e vino Eucaristici, c’era solo una presenza simbolica. Questo ci fa capire l’intenzione presente in questa solennità, che se da un lato ci impegna a riconoscere la presenza del Signore nell’ostia e nel vino consacrati, dall’altra ci consegna la presenza del Signore Risorto che si fa cibo e bevanda. E’ importante mantenere questa unità. Un Dio, quello in cui crediamo, che continua ad offrirsi perché nutre le nostre persone e le trasforma. Realmente, efficacemente. Tuttavia rischiamo di separare la presenza dall’essere protesa al dono: il fine della celebrazione nella quale si rinnova questa presenza è l’atto di comunione del mangiare (e del bere). Per questo non dobbiamo dimenticare quando siamo davanti all’Eucaristia nell’atto dell’adorare, che c’è un legame con il momento celebrativo, con la Parola ascoltata, con la fraternità continuamente restituita, nonostante le nostre infedeltà, le ferite inferte al corpo di Cristo che è la sua Chiesa. E, attraverso di essa, a tutta l’umanità. E’ pericolosa ogni forma di privatizzazione del nostro rapporto con l’Eucaristia. Quando la devozione si trasforma in devozionismo intimistico, Gesù viene isolato dal legame che continua a mantenere con ogni essere umano e con tutta la creazione.
Dobbiamo riconoscere la singolarità della sua presenza eucaristica, ma senza dissociarla dalle altre forme del suo rimanere tra noi: “ogni volta…l’avete fatto a me”(Mt 25,31ss).
S. Paolo ce l’ha ricordato: “Perché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. L’unico pane ci fa un solo corpo.
Stasera, al termine della celebrazione eucaristica, andremo in processione, percorrendo alcune strade e piazze della città, al Samaritano: un luogo dove si concentra con tanta povertà anche un’abbondante carità e prossimità.
Qualcuno ci ha manifestato la sorpresa per questo luogo di approdo del nostro andare guidati da Gesù-eucaristia. In realtà verrebbe da sorprenderci di questa sorpresa. La prima ragione del nostro camminare è per guardare le persone, i luoghi di vita attraverso l’ostia consacrata. E’ comune guardare, osservare, valutare…a partire da noi, dai nostri criteri. Quasi dimenticando ciò che abbiamo celebrato e confessato. In un’espressione che rischiava di essere pericolosa, Gesù nel tabernacolo era chiamato: “il divin prigioniero”. Forse lo imprigioniamo noi, perché lui continua a precederci nella nostra Galilea. Anzi, ci spinge a portarlo e a riconoscerlo. Arriveremo al Centro della Caritas per chiedere al Signore la grazia di guardare tutte le fragilità, quelle altrui come le nostre, dalla stessa fessura di quel pane spezzato. Solo così può avvenire la conversione dello sguardo, del cuore, delle mani, dei piedi…Siamo partecipi dell’unico pane. Gesù ci trasforma in pane che nutre a nostra volta. Il miracolo eucaristico è quello che avviene nel momento in cui il pane diventa il corpo di Cristo e la comunione ci fa cibo necessario per la vita dell’altro. Qui (in questo luogo che richiama ogni mano tesa…) non siamo solo noi a offrire pane e amore, perché nello stesso momento chi è nel bisogno diventa pane che nutre chi crede di essere sazio Chi presume di non essere nella necessità. Nella pagina del libro del Deuteronomio, ascoltata nella prima lettura, Mosè consegna al popolo e a noi oggi un verbo, un imperativo: ”Ricordati…Non dimenticare il Signore Dio tuo”. Vorrei con voi chiedere questa grazia nell’odierna celebrazione del Corpus Domini: che diventiamo uomini-donne dalla memoria viva di ciò che ci ha alimentato e perciò della fame e sete che abita il nostro cuore e a cui il Signore provvede perché viviamo in eterno. Di lui, del suo Amore.