Ci possono essere tanti modi per vivere il tempo nel quale siamo immersi. Tra le forme più pericolose – non solo per questi nostri giorni – è che esso sia un tempo muto.
Dove al massimo risuonano le nostre voci per coprire un silenzio inquietante.
Un momento, riempito di parole preoccupate di spiegare, di rassicurare, di anticipare un esito. Alla fine parole che avvolgono paure paralizzanti.
“Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della chiesa” (così papa Francesco nel suo messaggio).
Se l invito è a capire che cosa ci sta dicendo Dio, allora vuol dire che qui c è un appello, ci sono domande rivolte a noi. Domande rivolte a me, a te: “Chi manderò e chi andrà per noi?” Se tutto ci parla di distanze da mantenere, di sospetto e diffidenza che si insinua tra di noi, il Signore ci riconsegna un mandato: andare, ritessere relazioni. Quelle possibili, quelle desiderate, quelle coltivate.
Vorrei soffermarmi con voi sul titolo di questa veglia missionaria: “Tessitori di fraternità”. La fraternità ci è rappresentata come una tela, fatta di ordito e di trama.
L ordito (i fili che vengono predisposti sul telaio per far passare in orizzontale gli altri), invoca la trama.
Fuori metafora, l ordito è il nostro essere figli e figlie. È ciò che è dato e su cui si intreccia la vita di ciascuno. Lasciarsi intrecciare da mani esperte da’ valore al filo o ai fili che ciascuno di noi è. Io ho bisogno di questo intreccio, di questi legami per diventare più di quello che sono.
La paura che strisciante pervade le nostre giornate, ci spinge alla chiusura, all’isolamento. Ma in realtà non c’è altra strada per vincere le paure che l’amore, che il dono. E’ il passaggio dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato del dono di sé. Perché se è vero che siamo tutti sulla stessa barca, (cfr il discorso di Papa Francesco, 27 marzo in piazza San Pietro), allora solo nel ritrovare i legami fraterni è possibile tessere quella rete che può salvarci dall’affondare.
Vivere il tempo che ci ha dato, condotti dalla domanda provocatoria: “Chi manderò?”, ci apre alla fiducia che in questo tempo c è una mano che tesse. C’è un’opera in atto.
L’atto di fede, con il quale continuiamo a rimanere discepoli, è raccolto dalla risposta del profeta: “Eccomi, manda me”.