Gv 6,52-59
Ancora una volta la Parola di Dio della liturgia del giorno illumina e orienta questo nostro ritrovarci per dare un saluto riconoscente a d. Giancarlo, nella fede pasquale. Infatti nel racconto che conosciamo come la “conversione” di Saulo-Paolo e nella conclusione del lungo discorso di Gesù sul Pane di vita possiamo ricostruire il profilo spirituale e pastorale di un discepolo-apostolo.
Saulo è un ebreo moralmente ineccepibile, fariseo in quanto osservanza della legge, zelante come nessun altro nella difesa della religione. Quindi se parliamo di ‘conversione’ essa va intesa come conversione a Gesù. La sua vita cambia dopo essere stato raggiunto, lungo la strada, da Colui che si identifica con quei fratelli che Saulo perseguita.
Egli viene così conquistato da Cristo, al punto da dire: “per me vivere è Cristo”. Darà così tutto sé stesso per annunciare Gesù morto e risorto. Certamente c’è tanto Saulo nei suoi viaggi, nella fondazione delle comunità in giro per l’Europa, nella sua missione: il suo zelo, la sua formazione personale, il suo temperamento (che non doveva essere meno determinato di quello di d. Giancarlo), la sua passione e il suo coraggio… Ma in realtà c’era molto di più: c’era Gesù, che aveva vinto su di lui, gettandolo a terra e affiancandogli qualcuno (Anania) perché potesse vedere di nuovo. Saulo avrà bisogno di un fratello nella fede e dovrà vedere in modo nuovo le cose per essere l’Apostolo delle genti. Ecco un’altra parte della sua ‘conversione’: convertito a Gesù grazie ai fratelli. E, come il Signore dice ad Anania, egli diventa lo strumento che il Signore ha scelto per sé. Siamo e rimaniamo sempre strumenti di colui che guida la storia del Vangelo e del Regno. Non siamo mai strumenti perfetti, ma in ogni caso strumenti per portare il suo nome. Non ci scandalizzano le nostre povertà, perché proprio nella debolezza noi siamo forti. O meglio, nella debolezza opera efficacemente il Signore.
E possiamo dire, che qui si radica la paternità di un apostolo: nel sapere generare e rigenerare continuamente un gruppo di persone in una comunità di discepoli di Gesù. Don Giancarlo ha avuto il privilegio e la responsabilità, insieme ai suoi collaboratori, di dare forma ad una parrocchia. Che altro non è che radicare in Gesù la vita di ciascuno e della comunità. Certo va ricordato l’impegno profuso per assicurare strutture necessarie alla vita e alle attività di una comunità, ma esse necessitano di un’anima, che è il desiderio di restare discepoli di Gesù. Testimoni del suo vangelo. Qui sta la paternità di un pastore. Questa rimane.
E la pagina del vangelo di Giovanni ci colloca esattamente al cuore della vita in un credente e di una comunità: l’Eucaristia. Il linguaggio molto realistico usato da Gesù (“chi mangia la mia carne e beve il mio sangue”) esprime la sorgente dell’esistenza pasquale. Solo così, solo nutrendoci di Gesù, in noi c’è la vita. La vita eterna. La vita di Dio.
Il nutrimento non solo permette di rimanere in vita, ma si trasforma in chi lo mangia. È proprio vero che noi siamo quello che mangiamo. Noi veniamo trasformati in Gesù, partecipando della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione (“…e io lo risusciterò”).
Troppo spesso abbiamo identificato la vita eterna come un premio, come qualcosa da conquistare con le nostre buone opere. Invece Gesù ci parla di un dono che nasce dentro ad una relazione: egli ci comunica fin d’ora la sua vita, il suo principio di amore. Quando qualcuno rimane in Gesù e Gesù in lui, quella persona vive per Gesù, vive a causa sua, vive in forza di questo Amore che è sorgente inesauribile.
Gesù, ogni volta che mangiamo di lui (della sua carne e del suo sangue) ci introduce nella logica che ha animato la sua esistenza: nel dinamismo del dono. Nella forza creativa del dono. Un sacerdote ogni volta che pronuncia le parole di Gesù: “Prendere e mangiate… prendete e bevete… questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”, le pronuncia in nome di Gesù. E nello stesso momento quelle parole sono anche parole sue, dicono della sua vita, del suo voler conformarsi a Gesù che ha dato tutto sé stesso. Così la vita del sacerdote partecipa della stessa offerta che Gesù fa al Padre e ai fratelli. Solo perché si vive per Lui si può vivere come Lui. Abbiamo così raccolto il segreto del ministero sacerdotale e pastorale di d. Giancarlo, e, insieme, la ragione della speranza con la quale oggi celebriamo la sua Pasqua, il suo passaggio al Padre. C’è un legame profondo, in mano a Gesù, che non può essere strappato. Neanche dalla morte. È in questa comunione ‘eucaristica’, che d. Giancarlo ha celebrato e nella quale è vissuto, che si rinnova la speranza che la sua persona possa ora partecipare della Pasqua di Gesù. Nella vita che non ha fine. In Dio.
Ed ora si presenta al Padre ma non da solo: voi tutti, noi siamo diventati parte di lui e della sua esistenza. Ormai inseparabili spiritualmente. Ci porta con sé all’incontro con il Padre operando il definitivo servizio: quello dell’intercessione a nostro favore, che rimane con lui davanti al Padre misericordioso.