Le parole del Vescovo alle messe in Cattedrale e al carcere delle Novate: la festa non è solo poesia e buoni sentimenti, è accogliere Dio e il suo amore gratuito. Non cediamo alla logica della forza in cui la pace è vista come equilibrio di forze contrastanti
“Il Natale è cosa seria”: così il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha iniziato la sua omelia nel giorno di Natale nella Cattedrale di Piacenza. “Quel bambino che è nato per noi – ha sottolineato – non suscita solo buoni sentimenti e forti emozioni, magari riattivando la nostalgia del passato. Questo bambino è la gloria di Dio. In Gesù Dio ha lasciato l’impronta indelebile del suo passaggio”.
Dio si è giocato in prima persona
E mentre si avverte la sproporzione tra noi e la grandezza di Dio – sintetizziamo le parole del Vescovo -, avvertiamo il rischio di banalizzare questo bambino, perdendo così lo stupore del mistero che si rivela ai nostri occhi. Il Natale va prima di tutto contemplato.
La cosa sorprendente è che Dio si è giocato in prima persona, nella carne del suo Figlio, in una Parola che parla senza parole e che manifesta il suo amore instaurando un legame profondo con l’uomo. C’è realmente un po’ di Vita di Dio in ogni carne umana. Ogni volta che in qualsiasi modo la vita è ferita, è violata, è minacciata, in Cristo è Dio stesso a patire e quindi ad essere offeso. Difendere Dio coincide con la difesa e la custodia di ogni sua creatura.
Dio mendicante del nostro amore
“Dio si presenta in forma discreta, nella debolezza, nell’ora in cui ogni figlio di uomo vive di cura e di protezione. A Natale – ha detto ancora mons. Cevolotto – appare un Dio mendicante del nostro amore, di quella risposta che ci è possibile”. “Ogni giorno – ha aggiunto – è Natale”: la buona notizia del Natale è che Dio è presente nel quotidiano, nel feriale, nelle relazioni ordinarie.
La logica del riarmo: la pace come equilibrio di forze contrastanti
Mons. Cevolotto ha poi richiamato il tema della pace in linea con l’invito costante prima di papa Francesco e ora di papa Leone XIV: “Stiamo assistendo – ha detto il Vescovo – alla scelta della strada che sola sappiamo percorrere da noi stessi: quella della forza, prove di forza tra popoli, tra schieramenti, tra persone. Ma la forza, di sua natura, conosce la necessità di armarsi per mostrare i muscoli al nemico. Per giustificare una qualsiasi forma di riarmo, militare o non, ci si immagina un domani abitato da pericolosi nemici. Trasformando la pace in un equilibrio di forze contrastanti. Chiusi in questa logica non riusciamo a vedere altre strade, ci facciamo convincere che conflitti e armi coincidano. Anche se sappiamo che è una strada non solo costosissima ma soprattutto fallimentare, perché nasce e alimenta la volontà di sopraffare, di dominare sempre l’altro. Da entrambe le parti”. In questo scenario la pace sarà sempre e comunque solo una tregua.
L’imponderabile della realtà
Nell’omelia alla messa della notte, sempre in Cattedrale, il Vescovo ha messo fuoco il rapporto tra Dio e le strutture umane di potere. “La venuta del Figlio di Dio nella carne ha la caratteristica di una di sfida. La sfida al potere di turno che da sempre inebria l’ego degli uomini e dei popoli”. Al tempo di Gesù, come racconta il Vangelo di Luca, il potere è evidente nel censimento voluto da Cesare Augusto per tenere sotto controllo l’impero molto esteso. Un censimento nato per ragioni tributarie e militari e che voleva di fatto mettere in luce il prestigio dell’imperatore agli occhi degli altri.
A Cesare Augusto – ha puntualizzato mons. Cevolotto – è sfuggito tuttavia un particolare non irrilevante: non è stato in grado di registrare l’iniziativa di Dio che scardina quel potere mondano che ha la pretesa di dominare le cose e le persone. Gesù nasce in una periferia, in un ricovero per animali. “C’è un imponderabile nella realtà che siamo e che viviamo che nessun numero, nessun dato statistico è in grado di descrivere interamente”.
L’annuncio ai pastori, gente ai margini della società
Un’ulteriore dimostrazione della rivoluzionaria logica di Dio viene dal fatto che “i primi destinatari della Buona notizia infatti sono dei poveri pastori. Figure del tutto marginali e per nulla considerati all’interno del popolo d’Israele”. I pastori non avevano rilievo sociale e religioso, non erano neppure credibili neanche come testimoni perché ritenuti falsi, mezzi delinquenti e non osservanti della Legge.
Il Vangelo – è in sintesi il pensiero del Vescovo – non ci dice più nulla di questi primi testimoni oculari del Natale, se in seguito sono stati tra coloro che hanno seguito Gesù. Dio nel Natale si rivela gratuitamente; non agisce a partire dal risultato da ottenere, non è preoccupato dei followers e di far breccia tra gli influencer, non cerca di fidelizzare i clienti. Viene perché chi, come e quando vuole, possa essere raggiunto dall’amore.
Dio sceglie di poter essere rifiutato
Ma che cos’è veramente il Natale? Che conseguenze ha per la nostra vita? È la domanda che il Vescovo si è posto nella messa al mattino del 25 dicembre con i detenuti al carcere delle Novate.
Se il Natale fosse solo una festa di poesia, di bei sentimenti, di serenità – sintetizziamo il suo pensiero – ci troveremmo di fronte ad un’ingiustizia. Molti ne sarebbero esclusi. In realtà, il Natale inquieta. Dio, infatti, si presenta con tutti i tratti della debolezza umana e sociale, sceglie di poter essere rifiutato, non accolto, esiliato. Il Principe della Pace entra nel mondo disarmato. La logica di Dio è davvero sconvolgente.
Una schiaffo alla cultura dell’io
“Noi – ha detto ancora mons. Cevolotto – respiriamo l’aria inquinata dal delirio dell’onnipotenza, in ragione della quale «volere è potere». Inaliamo a pieni polmoni le «polveri sottili» dell’io assetato di piacere, di denaro, di possesso”, viviamo immersi in una mentalità secondo la quale è insostenibile accettare un rifiuto. Il Natale invece è un dolce ed energico schiaffo a questa cultura. “Natale ci dice che c’è Uno che ha scelto diversamente: è venuto a condividere i luoghi della nostra debolezza, delle nostre prigionie e schiavitù, figlie di quella cultura a cui ci siamo arresi”.
Ritrovare la nostra vera umanità
Viviamo il Natale – ha precisato il Vescovo – per risvegliarci nella nostra umanità che è vera umanità quando, presa in cura da qualcuno che ci vuole bene, diventa capace a propria volta di essere preziosa per qualcun altro. Papa Leone XIV al recente Giubileo dei detenuti ha indicato una strada: lavorare sui propri pensieri e sentimenti perché “la giustizia è sempre un processo di riparazione e di riconciliazione” anche con se stessi e il proprio passato. La cosa più difficile spesso è proprio perdonare se stessi.
La possibilità di ricominciare
“Pensando a questo incontro – ha concluso rivolgendosi ai detenuti – mi sono reso conto che il titolo della Lettera pastorale che ho consegnato alla diocesi calza benissimo anche con la vostra condizione: «Ri-cominciare ‘perché nulla vada perduto’». Nulla di noi e del nostro passato può e deve andare perduto. E tantomeno nessuno. Tutto e tutti siano salvati. «È nato per voi un Salvatore»: è quel bambino che ci viene incontro con le braccia allargate, allo stesso modo di quando conclude la sua esistenza con le stesse braccia allargate sulla Croce. Tra quelle braccia, fin dalla stalla di Betlemme, troviamo l’amore di chi ci cerca senza stancarsi”.
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