Nei giorni scorsi ho ricevuto un messaggio d’auguri natalizi che riportava la citazione di un testo di S.B. Pierbattista Pizzaballa: “Il Natale è stato reso possibile dallo spazio che Maria e Giuseppe hanno offerto a Dio e al Bambino che veniva da Lui. Non sarà diversamente per la Giustizia e la Pace: non ci sarà giustizia, non verrà la pace senza lo spazio aperto dal nostro «sì» disponibile e generoso”.

Queste parole, accompagnate dai ripetuti appelli di papa Francesco a intensificare la preghiera per invocare il dono della pace per tutti i popoli travolti dalla follia della guerra, rappresentano certamente un forte invito a vivere questo Natale “lasciandoci ferire” dagli effetti devastanti causati da piogge di missili che, ogni giorno, seminano distruzione e morte, causando migliaia di vittime innocenti, bambini in testa. Ma non solo.

Queste parole ci spronano soprattutto, proprio nel momento in cui facciamo memoria della nascita di Gesù, il “Principe della Pace” (Isaia 9,6) a divenire nel suo nome “artigiani di pace” nella vita di tutti i giorni, pronunciando quel “sì” disponibile e generoso che può essere lo spazio aperto in cui Giustizia e Pace riescono a germinare anche in ciascuno di noi e nelle nostre relazioni. Aiutandoci a superare una possibile deriva, quella della rassegnazione fatalistica o, peggio ancora, dell’indifferenza di fronte alla vita e alla sofferenza dell’altro.

Un “sì” necessario perché la nostra esistenza, civile ed ecclesiale, si costruisce grazie agli eventi che viviamo e alle relazioni che instauriamo con gli altri. Quando non vediamo più l’altro, non ascoltiamo più il suo grido e i fatti della storia non ci interpellano più, allora precipitiamo in una sorta di anestesia interiore, condizione di chi è biologicamente vivo, ma spiritualmente morto.

Scriveva Elie Wiesel: “L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza. L’opposto della giustizia non è l’ingiustizia, ma l’indifferenza. L’opposto della pace non è la guerra, ma l’indifferenza alla guerra. L’opposto della vita non è la morte, ma l’indifferenza alla vita o alla morte”.

In quella prima Notte la differenza tra Erode e gli abitanti di Gerusalemme e i pastori è stata la disponibilità a lasciarsi scomodare. L’indifferenza è la vera minaccia al Natale. Mi sembra che la nostra città e la nostra Chiesa debbano continuamente ricercare e affinare uno sguardo “non indifferente” se vogliono vivere all’altezza della loro vocazione.

La sensazione è che di fronte ai grandi conflitti come a quelli più ordinari che si consumano anche all’interno delle nostre case, comunità ecclesiali e della città si ceda spesso alla tentazione dell’indifferenza e ci si consegni, a volte anche in modo inconsapevole, a una sorta di fatalismo e di rassegnazione. Occorre invece ritrovare il coraggio di credere che il male non è onnipotente. Che è possibile resistergli, nel nome di Colui che è il datore della vera pace.

A questo riguardo mi sembrano molto significative le parole del cardinale Matteo Zuppi: “la pace non va relegata al campo delle buone aspirazioni per anime poetiche, lasciandola in una dimensione onirica. La pace non è un’utopia per affrontare i drammi del mondo ma la scelta di combattere con intelligenza il male: e la guerra è il male ultimo, frutto di tante complicità, quando l’ora delle tenebre si impone uccidendo e spegnendo l’umanità nei cuori delle persone. Molti dicono che non si può fare nulla, addirittura giudicano velleitario l’impegno per la pace. Ma non fosse altro che ogni piccola goccia contribuisce a generare il mare, ne vale la pena. Nessuna delle gocce è decisiva, certo. Ma è anche vero che in ogni goccia possiamo contemplare tutto l’oceano”.

Il Natale ci aiuti a credere nella forza della pace che brilla nel volto di un bambino, fragile ma onnipotente nell’amore.  

† Adriano Cevolotto,

Vescovo di Piacenza-Bobbio