Castel S. Giovanni-23.06.23
Ger 1,4-10
1Pt 1,8-12
Lc 1,5-17
Fin dalla sua nascita, il Battista ricorda che la presenza di Dio nella storia è sempre preparata, anticipata da qualcuno. Un po’ come capita a noi: siamo introdotti nella fede da qualcuno che ce l’ha anticipata, che ce l’ha testimoniata profeticamente come plausibile, credibile. Non esiste l’auto-didatta. Il che non significa che siano semplici duplicatori. Tutt’altro. Anche perché il Signore sorprende sempre, prima di tutto il Battista!
Nella prima lettura, tratta dal profeta Geremia, sono presentate le resistenze che spontaneamente opponiamo (“sono giovane”… altre volte troviamo: “sono balbuziente…non so parlare”), e che confermano che ci sentiamo comunque poco adatti o adeguati alla missione e prima alla vocazione.
Già questo ci fa capire che chi è mandato non è scelto per qualità straordinarie, per capacità che garantiscono il successo. Sembra, a dirla tutta, che il Signore usi criteri di selezione che non seguono le leggi del marketing. Ma la resistenza più forte è la paura, rispetto alla quale il Signore continua a ripetere: “non aver paura di fronte a loro!”.
In che cosa consiste il compito del profeta/inviato/Battista di turno? È riassunto in alcuni verbi. Precisamente quattro verbi di distruzione (sradicare e demolire, distruggere e abbattere). E su questo siamo abbastanza portati: infatti come è facile questo atteggiamento distruttivo. Ma due verbi sono di costruzione, di promozione. Non c’è demolizione fine a sé stessa. Ogni fase ‘contestativa’ è ordinata ad ‘edificare e piantare’.
Allora se a questo deve tendere ogni azione ‘profetica’ (in ogni ambito della vita, relazionale e sociale), vorrei soffermarmi su questi due verbi. Uno (edificare) è tratto dall’edilizia e riguarda il lavoro di innalzare, con abilità, mattone dopo mattone un edificio, secondo un progetto. Qualsiasi sevizio nella comunità deve essere capace di questa opera di sapiente edificazione: creare spazio di accoglienza, dove ci si possa sentire a casa, al riparo.
Non dovremmo mai stancarci di interrogarci: in quello che diciamo… facciamo… omettiamo…, stiamo costruendo? edificando? o demolendo? e che cosa facciamo crescere? C’è una grande responsabilità affidata alle nostre persone e alla nostra libertà. Alle nostre scelte.
E ancora: per chi lo stiamo facendo? per me, per qualcuno o per tutti… (“Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò”). Lo sguardo di chi edifica è rivolto a tutti, deve essere inclusivo.
L’altro verbo è piantare. Chi mette a dimora una pianta è orientato al futuro, magari anche lontano. È l’azione dell’agricoltore, che sa che il suo lavoro è per altri, è per il futuro. Anzi il suo presente, la sua opera è già rendere presente il futuro. In questa azione non c’è spazio per la pretesa di vedere i frutti subito. S. Paolo, parlando dell’opera dell’evangelizzatore ricorda che “C’è chi semina e chi raccoglie”.
Oggi si ripete che la politica ha tempi troppo corti perché dipende dal consenso di chi esercita il voto. Ed esso è legato ai risultati. È miope un politico che ragiona così, ma è più miope un popolo, una cittadinanza che dentro a questa logica si autocondanna a non avere veri risultati rispetto alle questioni serie che stiamo vivendo. La qualità di chi pianta dovrebbe essere il criterio che orienta il pensiero di tutti. Per creare futuro è necessaria l’alleanza con chi verrà dopo di noi.
Allora se per piantare è necessario intervenire a bonificare il terreno, questo riguarda tutto e tutti: credo che le radici più profonde da estirpare siano proprio le logiche del risultato (facile) immediato (con la velocità che non esiste in natura). Impegniamoci a combattere questo pericoloso parassita del vivere civile.
Chiediamo allora che noi tutti riusciamo a raccogliere il mandato che fu di Giovanni: “Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli…”.
Ricondurre i nostri cuori, i cuori di noi adulti, verso i figli significa pensare l’oggi con le sue scelte come ciò che riguarda i nostri figli, le nuove generazioni. Mettere al mondo figli non è un puro fatto biologico. È contemporaneamente assicurare che il mondo che li accoglie sia grembo di vita. Sia spazio di speranza. C’è un detto che suona più o meno così: “Il futuro è dato in prestito dai figli ai genitori”. Esso ci aiuti ad estirpare, dal terreno su cui camminiamo e piantiamo, la connivenza con tutto ciò che impedisce ai germogli nel futuro di crescere. Dalla logica vorace di consumare tutto oggi. In questo modo alla scuola di Giovanni il Precursore prepariamo la strada della venuta del Signore e del suo Regno. Anche qui a Castel San Giovanni.
NASCITA S. GIOVANNI BATTISTA
Castel S. Giovanni-23.06.23
Ger 1,4-10
1Pt 1,8-12
Lc 1,5-17
Fin dalla sua nascita, il Battista ricorda che la presenza di Dio nella storia è sempre preparata, anticipata da qualcuno. Un po’ come capita a noi: siamo introdotti nella fede da qualcuno che ce l’ha anticipata, che ce l’ha testimoniata profeticamente come plausibile, credibile. Non esiste l’auto-didatta. Il che non significa che siano semplici duplicatori. Tutt’altro. Anche perché il Signore sorprende sempre, prima di tutto il Battista!
Nella prima lettura, tratta dal profeta Geremia, sono presentate le resistenze che spontaneamente opponiamo (“sono giovane”… altre volte troviamo: “sono balbuziente…non so parlare”), e che confermano che ci sentiamo comunque poco adatti o adeguati alla missione e prima alla vocazione.
Già questo ci fa capire che chi è mandato non è scelto per qualità straordinarie, per capacità che garantiscono il successo. Sembra, a dirla tutta, che il Signore usi criteri di selezione che non seguono le leggi del marketing. Ma la resistenza più forte è la paura, rispetto alla quale il Signore continua a ripetere: “non aver paura di fronte a loro!”.
In che cosa consiste il compito del profeta/inviato/Battista di turno? È riassunto in alcuni verbi. Precisamente quattro verbi di distruzione (sradicare e demolire, distruggere e abbattere). E su questo siamo abbastanza portati: infatti come è facile questo atteggiamento distruttivo. Ma due verbi sono di costruzione, di promozione. Non c’è demolizione fine a sé stessa. Ogni fase ‘contestativa’ è ordinata ad ‘edificare e piantare’.
Allora se a questo deve tendere ogni azione ‘profetica’ (in ogni ambito della vita, relazionale e sociale), vorrei soffermarmi su questi due verbi. Uno (edificare) è tratto dall’edilizia e riguarda il lavoro di innalzare, con abilità, mattone dopo mattone un edificio, secondo un progetto. Qualsiasi sevizio nella comunità deve essere capace di questa opera di sapiente edificazione: creare spazio di accoglienza, dove ci si possa sentire a casa, al riparo.
Non dovremmo mai stancarci di interrogarci: in quello che diciamo… facciamo… omettiamo…, stiamo costruendo? edificando? o demolendo? e che cosa facciamo crescere? C’è una grande responsabilità affidata alle nostre persone e alla nostra libertà. Alle nostre scelte.
E ancora: per chi lo stiamo facendo? per me, per qualcuno o per tutti… (“Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò”). Lo sguardo di chi edifica è rivolto a tutti, deve essere inclusivo.
L’altro verbo è piantare. Chi mette a dimora una pianta è orientato al futuro, magari anche lontano. È l’azione dell’agricoltore, che sa che il suo lavoro è per altri, è per il futuro. Anzi il suo presente, la sua opera è già rendere presente il futuro. In questa azione non c’è spazio per la pretesa di vedere i frutti subito. S. Paolo, parlando dell’opera dell’evangelizzatore ricorda che “C’è chi semina e chi raccoglie”.
Oggi si ripete che la politica ha tempi troppo corti perché dipende dal consenso di chi esercita il voto. Ed esso è legato ai risultati. È miope un politico che ragiona così, ma è più miope un popolo, una cittadinanza che dentro a questa logica si autocondanna a non avere veri risultati rispetto alle questioni serie che stiamo vivendo. La qualità di chi pianta dovrebbe essere il criterio che orienta il pensiero di tutti. Per creare futuro è necessaria l’alleanza con chi verrà dopo di noi.
Allora se per piantare è necessario intervenire a bonificare il terreno, questo riguarda tutto e tutti: credo che le radici più profonde da estirpare siano proprio le logiche del risultato (facile) immediato (con la velocità che non esiste in natura). Impegniamoci a combattere questo pericoloso parassita del vivere civile.
Chiediamo allora che noi tutti riusciamo a raccogliere il mandato che fu di Giovanni: “Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli…”.
Ricondurre i nostri cuori, i cuori di noi adulti, verso i figli significa pensare l’oggi con le sue scelte come ciò che riguarda i nostri figli, le nuove generazioni. Mettere al mondo figli non è un puro fatto biologico. È contemporaneamente assicurare che il mondo che li accoglie sia grembo di vita. Sia spazio di speranza. C’è un detto che suona più o meno così: “Il futuro è dato in prestito dai figli ai genitori”. Esso ci aiuti ad estirpare, dal terreno su cui camminiamo e piantiamo, la connivenza con tutto ciò che impedisce ai germogli nel futuro di crescere. Dalla logica vorace di consumare tutto oggi. In questo modo alla scuola di Giovanni il Precursore prepariamo la strada della venuta del Signore e del suo Regno. Anche qui a Castel San Giovanni.