Lugagnano Is 2,1-5 Rm 13,11-14 Mt 24,37-44
Nel messaggio che dalla CEI è giunto per questa giornata di ringraziamento per i prodotti/frutti del lavoro della terra è ricordata la felice coincidenza con il Giubileo che stiamo vivendo. Il Giubileo nasce nella legislazione ebraica come un anno che ha come oggetto, in vista del ripristino della dignità di ogni persona, il ritorno in possesso della terra che nel corso degli anni poteva essere stato perso: insieme al riposo della terra, che partecipava così al riposo imposto all’uomo dopo le fatiche del lavoro.
Già questi due aspetti del Giubileo mostrano una grande attualità: richiamano la destinazione universale della terra (la terra è di tutti) e l’uso, lo sfruttamento della terra che deve prevedere un tempo di riposo (quindi un uso rispettoso e non predatorio). Il tutto associato alla giustizia che doveva garantire un futuro a tutti (cioè al soggetto e alla sua discendenza).
Non sappiamo, in realtà, se e quando questa legislazione sia stata applicata, ma resta il fatto che questi riferimenti ideali devono illuminare la nostra attività di credenti e – diciamo – di esseri umani.
L’orizzonte giubilare ci offre la possibilità di soffermarci sul significato della terra per la tradizione giudaico-cristiana. Se facciamo memoria nelle Scritture, la terra non è mai solo un terreno, né come pensiamo noi il pianeta, la terra è molto di più. E’ il contenuto della promessa: “Abramo, esci dalla tua terra… verso la terra che ti indicherò” (Gn 12,1). Al popolo d’Israele in schiavitù viene promessa una terra che diventerà, appunto, la Terra Promessa. Cioè, la terra che sostiene (o dovrebbe sostenere) il cammino nel deserto. Le prove che si frappongono tra la Promessa e il suo compimento.
Se la terra equivale al futuro, essa richiama il dono di una vita buona e bella che viene data. E’ lì, già preparata, nella quale devi entrare ricordando che l’hai ricevuta, non l’hai conquistata. I problemi nascono quando si dimentica il dono e ci si appropria, come se fosse frutto del nostro merito.
Oggi siamo stati convocati dagli uomini e dalle donne della terra. Ma in realtà chi di noi non è uomo-donna della terra, della promessa, del futuro da custodire e da coltivare? A loro è affidato questo compito di cura (in questo senso vale proprio il detto “maneggiare con cura”), ma lo fanno per conto di tutti. Non solo di noi piacentini, ma dell’umanità intera. Prendendosi cura con il lavoro della terra ci ricordano che ognuno può e deve esercitare la stessa responsabilità verso ciò che richiama un futuro.
Papa Francesco ci ha consegnato come tema giubilare la Speranza, cioè il futuro. Rimanere pellegrini non è facile perché è più spontaneo vivere da sedentari, da difensori con i denti di un pezzo di terra minacciato. Rimaniamo tutti disponibili a pensarci incamminati verso una terra, cioè un futuro, che ci verrà ri-donata. Il futuro non è mai pura conquista.
Il ringraziamento annuale è l’occasione non solo per fare il punto sulle preoccupazioni e sulle problematiche che questo lavoro incontra, ma per ri-scoprire la grande vocazione, il privilegio di essere testimoni che abbiamo bisogno di una terra, di un futuro, di una speranza. Da ricevere e da custodire. Con passione.




