Casalpusterlengo
Sir 24,1-3.8-2.19-22
Ap 21,1-5
Lc 1,39-45
Mi ha interessato, ed insieme sorpreso, la tradizione popolare legata a questo luogo di devozione mariana. Sorpreso prima di tutto per la sequenza, non consueta, dei fatti che hanno portato al santuario con la sua frequentazione. Tutto infatti inizia con la devozione di un giovane vasaio che – conoscete bene il racconto – vuol realizzare un’immagine della Madre di Dio. Ci torneremo poi sul come questa statua vide la luce. Solo successivamente avvengono le apparizioni (peraltro a tutto il popolo, non ad una singola persona) che daranno vita al primo santuario.
La statua della Vergine col bambino viene completata a più mani: non mani a caso – si potrebbe dire – quelle del vasaio che plasma la creta (immagine questa presente nella Bibbia), ma che risultano incapaci, nonostante la loro abilità, di completare la sua idea. Ogni tentativo di realizzare le teste – della Vergine e del bambino – non riesce. C’è bisogno dell’intervento inatteso di un pellegrino che gli appare accanto all’improvviso.
Due ‘posture’ spirituali che si integrano nella devozione: la paziente e abile opera del vasaio che dà forma all’informe e ribelle argilla e quella del pellegrino che è in cammino e per questo si affida, conosce la precarietà, ed ha una meta da raggiungere. Così deve essere una persona devota, che fa proprie le caratteristiche dell’uno e dell’altro: deve metterci tutta la propria abilità, eppure questa non basta. Nessuno basta a se stesso, perché tutti abbiamo bisogno di rimanere aperti a chi è esperto della provvidenza. Il credente è un po’ artigiano e un po’ eremita.
L’altro fatto che la tradizione popolare ci consegna è questa serie di processioni dei frati cappuccini che scendono sulla terra. Il cielo è aperto: in questa immagine (cara anch’essa alla tradizione biblica) è reso efficace il legame, il dialogo tra cielo e terra, tra chi ci ha preceduto, nella vita e nella fede, nella vita religiosa e noi che siamo ancora qui a vivere la sfida della fede. È un’immagine che rassicura, oltre che accompagnare nella fede, perché ci conferma che il Signore non ci lascia soli. Ciò che siamo chiamati a vivere, ad affrontare, spesso in forme impegnative, è abitato da una presenza provvidenziale. È abitato da una presenza materna e fraterna. Dobbiamo ricordarlo proprio noi che abbiamo trasformato la nostra esistenza in un agone, in una lotta dalla quale dobbiamo uscire vincitori, nella quale dobbiamo sempre primeggiare. Quante energie investite, quanta ansia da prestazione!
Quando poi si decide di costruire un santuario, ciò che viene rappresentato in quell’edificio è il richiamo alla stabilità del dimorare del cielo sulla terra. Per questa ragione il santuario è una luce che continua, per molte persone di questo territorio, ad essere riflesso della luce che il Signore manda per illuminare chi cammina nelle tenebre.
Ogni santuario attira e mette in cammino. Ogni santuario mariano, come questo, diventa luogo dove approda la ricerca di luce e di pace rispetto a tante vicende personali, familiari.
Ma in realtà, usando l’immagine della visitazione, chi ci viene a visitare è sempre Maria, che fedelmente continua a portarci Gesù. Fin da quel viaggio verso le montagne della Giudea la Vergine Madre porta in sé il Figlio accolto nella fede. E anche in questo ci è Madre: ci accosta con umiltà e discrezione per prestarci la sua fede. Noi ci uniamo alle parole di Elisabetta che con gioia e stupore proclama “Beata colei che ha creduto”. Maria ci aiuti a non sentirci soli nella sfida più grande che ci è chiesta: continuare a credere e sperare in ciò che ai nostri giorni ci sembra impossibile. Ma non è così per Dio.




