Mt 1,18-24
L’evento del Natale si avvicina a noi attraverso Giuseppe, lo sposo di Maria. E dobbiamo ringraziarlo perché ci aiuta ad entrarci con molto realismo. Infatti troppo sbrigativamente noi riduciamo il Natale al suo compimento (il bambino che nasce), tralasciando il dramma umano che si consuma per strada. Il travaglio per la nascita di questo bambino non è solo quello che vive la madre, nel dolore di ogni parto. C’è il travaglio del suo cuore. C’è anche il travaglio di Giuseppe che patisce lui stesso la nascita del questo figlio di Maria, colei che gli era stata promessa in sposa. La venuta di Dio nella carne, mette alla prova la fede e la vita di questo uomo e di questa donna. Come la nostra, se la prendiamo sul serio.
“Così fu generato Gesù Cristo…”. Per Matteo Giuseppe entra a tutti gli effetti nella generazione di Gesù Cristo. Ha una parte tutt’altro che marginale. Prova ne sia che la nascita viene riassunta in un versetto (“senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”). Tutto qui. Verrebbe da chiedersi: qual è la sua parte nel mistero del venire di Dio? Che cosa ha reso grande questa ‘piccola’ vita di Giuseppe (piccola nel senso di defilata, solo all’apparenza marginale)?
Prima di tutto è stata decisiva la sua parte perché Maria avrebbe potuto subire una lapidazione, in quanto adultera. Bastava che Giuseppe, da uomo giusto che era, fosse ricorso all’osservanza della legge. Invece dimostra una giustizia che oltrepassa la legge, che è obbedienza a Dio, che può sorprendere -come di fatto fa- e sconvolgere i progetti degli uomini. Diventa decisivo lasciarsi condurre dalla sua esperienza di fede.
Egli si imbatte, prima di tutto in qualcosa che non ha deciso lui. Anzi di cui potrebbe immediatamente sentirsi vittima. Tralasciamo, anche se sarebbe opportuno rimanere, su ciò che può aver vissuto Giuseppe nei cfr. di Maria: il vedersi tradito.
Non voleva esporla. Certamente alla conseguenza estrema che abbiamo ricordato, ma esporla al giudizio, agli sguardi di condanna dei paesani, all’umiliazione… Pensa di agire in modo da custodire la fama di Maria. È straordinaria questa delicatezza, il suo rifiuto di rivalersi del torto subito. Sappiamo bene quanto è violento l’orgoglio ferito. Rifiuta di compiacersi nel vedere smascherato ciò che lo sta facendo vittima. È già tanto! Eppure sotto a questa decisione (per sé meritevole di apprezzamento) si può nascondere la tentazione di fuggire da qualche cosa che ci appare più grande di noi.
“Mentre stava considerando queste cose…”. Giuseppe non decide immediatamente, né prende una decisione tra sé e sé. Attende. Ecco un’altra caratteristica dell’attesa: lasciar passare del tempo, non voler chiudere subito la partita. Oggi usiamo un’espressione: “ci prega su”. Quasi affidare al Signore una luce, un’intuizione… che gli permetta di capire, di vedere ciò che è oscuro. Un angelo in sogno gli apre una prospettiva che non aveva considerato, ma che forse era la ragione per cui non si era affrettato a decidere: “il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito santo”. Evidentemente questo conferma ciò che Maria le avrà ripetuto mille volte e a cui si sentiva di poter crederle.
Mi piace fermarmi su quel sonno: è il momento nel quale noi siamo abbandonati, non siamo più noi a dominare le cose. Quando Giuseppe si mette in un atteggiamento di rinuncia a voler determinare lui le cose, allora si fa strada la Parola di Dio. È condizione essenziale perché Dio ci parli: lasciargli il posto!
“Quando si destò dal sonno…”. Il verbo è quello della risurrezione: deve morire alle proprie considerazioni per far vivere la vita di Dio e la sua Parola di Vita. È una vera Pasqua (a Natale!) perché in quel “prese con sé la sua sposa” Giuseppe lascia che il mistero di quel bambino gli cambi la vita. Il futuro che si apre è nelle mani di Dio. Notiamo che è solo l’inizio: dal vangelo conosceremo che questo futuro è tutt’altro che tranquillo. Egli è introdotto nel mistero di salvezza e di iniquità.
Il compito di Giuseppe verso il bambino è importante: gli deve dare il nome. Riconoscere la sua identità (=il valore del nome). Ad una prima impressione sembra un doppio nome: certo Gesù (=Dio salva) ma anche Emmanuele (=Dio-con-noi). Questi due nomi sono in realtà lo stesso: Dio salva perché è-con-noi. Giuseppe gli dà il nome che gli rivela l’angelo, ma in realtà la conferma gli viene dalla sua stessa esperienza. Dio salva perché non ti lascia in balìa degli eventi. Di ciò che capita e che facilmente noi incaselliamo tra le fortune o le sfortune.
I santi hanno guardato con attenzione e stupore Giuseppe. Anche dentro all’esperienza carmelitana, che qui è custodita dalle monache di clausura che oggi ci hanno ospitato, S. Giuseppe è vissuta come compagno di viaggio nel cammino della vita e della fede. Ascoltiamo