Lc 21,24-28.34-36

La scena della pagina evangelica di questa prima domenica di avvento è tutt’altro che rassicurante: i segni inquietanti nel cielo e l’ansia provocata dal mare tempestoso in terra suscitano sentimenti di angoscia e paura. In tutti.

Conosciamo bene il morire di paura, immagino che (da vivi) l’abbiamo ripetuto anche noi dopo un forte spavento. L’angoscia mortale non è senza ragione se “le potenze dei cieli saranno sconvolte”.

Quando nasce la paura come esperienza personale o come fenomeno collettivo (per sé contagioso)? Proprio quando ciò che ci dà sicurezza crolla, quando qualcosa ci destabilizza così da chiederci: “E adesso? Cosa sarà?”.

Gesù sembra invitarci a dare un nome alle paure che troviamo dentro di noi e tra di noi: quelle che ci sono familiari (“ogni volta che… sono preso dall’ansia, dalla paura”) e quelle che sono sorte in un tempo come quello nel quale siamo immersi e che fino ad ora non conoscevamo. Paura, se non angoscia, di morire o di veder morire persone care, persone amate. Paura per il non saper immaginare un futuro senza… paura di uscire, per molte persone, anche tra i più giovani. Paura che paralizza e che spinge a rinchiudersi. Paura di non farcela a sostenere il peso di un’incertezza permanente. Paura di perdere… il lavoro… l’attività… un ruolo sociale… Paura di vaccinarsi, perché temiamo le conseguenze. Paure indotte tante volte dall’esterno ma che hanno una risonanza profonda in noi.

Come possiamo cogliere l’ansia attinge dall’incertezza di quello che sta per accadere, dall’impossibilità di non avere più il controllo: niente in realtà dentro a questo meccanismo è in grado di rassicurarci. Qualsiasi garanzia dura il tempo di un soffio.

In questo clima, in questo contesto, a sorpresa ecco “il Figlio dell’Uomo venire su una nube”. La nube, nel cammino dell’Esodo indica la presenza rassicurante e provvidente di Dio. Questo dice che c’è una fedeltà che supera le condizioni del momento: niente può impedirgli di venire.

Se la domanda riguarda il futuro: che cosa mai accadrà…? La risposta è in questa venuta: il Figlio dell’Uomo viene ad abitare queste nostre paure, questa incertezza, questi sconvolgimenti…

Sembra paradossale: ciò che noi spontaneamente vogliamo allontanare (le paure e l’angoscia) diventa invece il contesto nel quale Egli ci viene incontro. Perché la paura ci istruisce del fatto che ciò che “sta per accadere” non ci è noto. E di fronte all’imprevisto e all’imprevedibile noi siamo disarmati, l’unica difesa che sappiamo mettere in campo è la paura.

Egli, il Signore risorto viene ad abitare le nostre paure perché proprio qui noi possiamo alzare il capo. L’annuncio: “sta per venire” (qualcuno a cui stiamo a cuore!) ci permette di raddrizzarci per alzare lo sguardo dai nostri piedi, dal nostro ombelico, da noi stessi. E raddrizzarci permette anche di respirare. Di trovare finalmente aria.

Eppure non è automatico sollevarsi, volgersi, avvicinarsi (significati presenti nello ‘stare attenti’) perché siamo appesantiti. E il peso di determinate situazioni appesantisce le palpebre e cala il sonno.

Da che cosa dobbiamo stare attenti allora? Una via di fuga dalla paura è rifugiarsi nel sonno. Si può fuggire nello sballo, nell’inebriarsi, cioè nell’uscire fuori di sé. Si può fuggire nell’eccitazione, nell’esuberanza e nella spensieratezza. È il rifugiarsi nella leggerezza della vita. Si può fuggire dalle paure rifugiandosi nelle attività affannose: nel bisogno di avere qualcosa a cui pensare e dedicarsi.

Il suo venire è certo, ma è possibile farci trovare fuori casa, fuori di noi e fuori di ciò che ci angoscia, e così impediamo al Figlio dell’uomo di incontraci e di abitare il nostro futuro. Se il nostro futuro non sarà abitato dal Signore della storia, continuerà ad essere sorgente di paura e di angoscia.