Cattedrale

Rm 15,14-21 Lc 16,1-8

“Non c’è modo migliore per conoscere Dio che lasciarci riconciliare con Lui (cfr 2Cor 5,20)” (SnC,23). Vorrei iniziare da queste parole che Papa Francesco ci ha consegnato nella Bolla di indizione del Giubileo perché aprono una strada importante nella celebrazione del Giubileo. Nella nostra riconciliazione con Dio, cioè nel nostro essere avvicinati da Lui, c’è la speranza. Lasciarci riconciliare richiede l’abbandono previo di gestire noi la relazione di fede; esige di lasciare a Lui l’iniziativa di raggiungerci laddove siamo. Perché a Lui è possibile. C’è sempre tanto protagonismo nella nostra vita di fede, per cui pensiamo di essere noi a decidere tempi e modi per incontrare il Signore. E’ meglio abbassare la guardia per lasciare a Lui l’iniziativa di stabilire modi e tempi della sua grazia. “Quando meno te l’aspetti… “, spesso confessiamo, ed è proprio quello che Lui aspettava: di non essere noi a stabilire le occasioni, gli appuntamenti. A noi è chiesto semplicemente di esserci. Lasciarsi riconciliare con Lui avviene, non di rado, con Lui che è presente nell’altro/a che ci è posto accanto. E, mi verrebbe da dire, è questa la forma di conversione più impegnativa. Lasciarsi raggiungere e accostare dal Signore nel volto di chi non necessariamente gode la nostra simpatia e addirittura la nostra stima non è per niente facile. Ancora una volta l’ostacolo al lasciarci riconciliare è l’essere noi a stabilire gli strumenti attraverso i quali Lui può operare e manifestarsi: le persone, i momenti, le esperienze.

Ecco l’invito: abbattere le corazze per accettare il silenzio, l’aridità spirituale e la stessa delusione di fronte alla scoperta delle nostre resistenze. Lui ci raggiunge proprio lì: quando meno te l’aspetti.

Oggi la Liturgia ci consegna l’immagine di un amministratore accusato di sperperare gli averi di un uomo ricco. Ancora una volta c’è un appropriarsi, l’impossessarsi di questo amministratore di ciò che, invece, gli è semplicemente affidato, con un grande atto di fiducia. All’origine di ogni chiamata c’è un importante gesto di fiducia da parte del Signore. Ci considera degni di vivere un carisma, ci affida un ministero (cfr 1Tm 1,12: “rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me…”). Eppure, noi non trattiamo le cose sempre e solo come di sua proprietà.

In questa pagina di difficile interpretazione l’amministratore disonesto (per come aveva agito prima o per come si è comportato alla fine?) mostra una profonda conversione: passa dal considerare gli altri come strumento per arricchirsi a viverli come compagni necessari per salvare la propria vita e per avere futuro. Il suo e il nostro futuro è strettamente congiunto a quello di chi ci sta accanto e con cui siamo ‘obbligati’ a trattare. Chiamato a rendere conto, cioè ricondotto alla vera considerazione di sé (cioè, essere amministratore) questo tale realizza che tra il patrimonio che ha dissipato ci sono le stesse persone di cui si era approfittato. Tra i beni del suo padrone c’erano anche gli altri. Coglie allora che il giudizio riguarda anche quelle relazioni dalle quali non ci possiamo staccare. Se il Signore ci ha chiamati, lo ha fatto e continua a farlo in una rete ecclesiale dalla quale dipendiamo. Nessuna forma plateale o mascherata di rendere gli altri funzionali a sé potrà essere giustificata. Il Signore ci domanda conto anche di come abbiamo costruito giustizia nella fraternità.

Quale conversione oggi, in questo giubileo, mi/ci è chiesta o, meglio, mi/ci è donata, come grazia? La conversione, proprio perché è nella disponibilità del Signore, ci viene offerta (cfr l’invito: “lasciatevi… “ di 2Cor 5,20)

Ancora una volta qui, in questo riferimento ecclesiale quale è la Cattedrale, ringrazio il Signore per la vostra testimonianza di un “non-ancora” che voi rendete presente. Ringrazio per l’essere segno del primato di Dio e del suo Amore. Vi affido il mio ministero, quello del presbiterio e il cammino delle nostre comunità perché nulla di quanto siamo o abbiamo costruito vada perduto. Più di tutto la nostra vocazione battesimale.

Giubileo Claustrali ed Eremiti

Cattedrale – 07.11.25

Rm 15,14-21

Lc 16,1-8

“Non c’è modo migliore per conoscere Dio che lasciarci riconciliare con Lui (cfr 2Cor 5,20)” (SnC,23). Vorrei iniziare da queste parole che Papa Francesco ci ha consegnato nella Bolla di indizione del Giubileo perché aprono una strada importante nella celebrazione del Giubileo. Nella nostra riconciliazione con Dio, cioè nel nostro essere avvicinati da Lui, c’è la speranza. Lasciarci riconciliare richiede l’abbandono previo di gestire noi la relazione di fede; esige di lasciare a Lui l’iniziativa di raggiungerci laddove siamo. Perché a Lui è possibile. C’è sempre tanto protagonismo nella nostra vita di fede, per cui pensiamo di essere noi a decidere tempi e modi per incontrare il Signore. E’ meglio abbassare la guardia per lasciare a Lui l’iniziativa di stabilire modi e tempi della sua grazia. “Quando meno te l’aspetti… “, spesso confessiamo, ed è proprio quello che Lui aspettava: di non essere noi a stabilire le occasioni, gli appuntamenti. A noi è chiesto semplicemente di esserci. Lasciarsi riconciliare con Lui avviene, non di rado, con Lui che è presente nell’altro/a che ci è posto accanto. E, mi verrebbe da dire, è questa la forma di conversione più impegnativa. Lasciarsi raggiungere e accostare dal Signore nel volto di chi non necessariamente gode la nostra simpatia e addirittura la nostra stima non è per niente facile. Ancora una volta l’ostacolo al lasciarci riconciliare è l’essere noi a stabilire gli strumenti attraverso i quali Lui può operare e manifestarsi: le persone, i momenti, le esperienze.

Ecco l’invito: abbattere le corazze per accettare il silenzio, l’aridità spirituale e la stessa delusione di fronte alla scoperta delle nostre resistenze. Lui ci raggiunge proprio lì: quando meno te l’aspetti.

Oggi la Liturgia ci consegna l’immagine di un amministratore accusato di sperperare gli averi di un uomo ricco. Ancora una volta c’è un appropriarsi, l’impossessarsi di questo amministratore di ciò che, invece, gli è semplicemente affidato, con un grande atto di fiducia. All’origine di ogni chiamata c’è un importante gesto di fiducia da parte del Signore. Ci considera degni di vivere un carisma, ci affida un ministero (cfr 1Tm 1,12: “rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me…”). Eppure, noi non trattiamo le cose sempre e solo come di sua proprietà.

In questa pagina di difficile interpretazione l’amministratore disonesto (per come aveva agito prima o per come si è comportato alla fine?) mostra una profonda conversione: passa dal considerare gli altri come strumento per arricchirsi a viverli come compagni necessari per salvare la propria vita e per avere futuro. Il suo e il nostro futuro è strettamente congiunto a quello di chi ci sta accanto e con cui siamo ‘obbligati’ a trattare. Chiamato a rendere conto, cioè ricondotto alla vera considerazione di sé (cioè, essere amministratore) questo tale realizza che tra il patrimonio che ha dissipato ci sono le stesse persone di cui si era approfittato. Tra i beni del suo padrone c’erano anche gli altri. Coglie allora che il giudizio riguarda anche quelle relazioni dalle quali non ci possiamo staccare. Se il Signore ci ha chiamati, lo ha fatto e continua a farlo in una rete ecclesiale dalla quale dipendiamo. Nessuna forma plateale o mascherata di rendere gli altri funzionali a sé potrà essere giustificata. Il Signore ci domanda conto anche di come abbiamo costruito giustizia nella fraternità.

Quale conversione oggi, in questo giubileo, mi/ci è chiesta o, meglio, mi/ci è donata, come grazia? La conversione, proprio perché è nella disponibilità del Signore, ci viene offerta (cfr l’invito: “lasciatevi… “ di 2Cor 5,20)

Ancora una volta qui, in questo riferimento ecclesiale quale è la Cattedrale, ringrazio il Signore per la vostra testimonianza di un “non-ancora” che voi rendete presente. Ringrazio per l’essere segno del primato di Dio e del suo Amore. Vi affido il mio ministero, quello del presbiterio e il cammino delle nostre comunità perché nulla di quanto siamo o abbiamo costruito vada perduto. Più di tutto la nostra vocazione battesimale.