S. Francesco
Rm 12,5-16 Lc 14,15-24
Oggi, festa nazionale, ricordiamo l’armistizio che pose fine alla Prima guerra mondiale, componendo i territori italiani, e insieme il ricordo dei caduti del primo conflitto mondiale e di tutte le guerre. Un evento che però, viene da dire, non è sentito e avvertita a tal punto da attirare le persone, a tal punto da decidere di interrompere gli altri impegni. Respiriamo tanta indifferenza. Un po’ come la parabola del vangelo: l’invito ad un banchetto viene rifiutato, sebbene con garbo, perché… c’è altro da fare di più importante. Il “ti prego di scusarmi!” cerca la complicità rispetto alle priorità.
Fermarsi a fare festa appare oggi subordinato a tante cose che sono al di sopra della lista. Eppure, oggi è festa per l’Unità Nazionale, un dono tanto prezioso quanto fragile. Se da qualche parte si scaldano gli animi per pericoli che vengono dall’esterno, dovremmo chiederci se il pericolo all’unità non venga molto più seriamente dal di dentro. L’unità, ci ha ricordato S. Paolo nel brano della lettera ai Romani, nasce dall’essere un solo corpo, nel quale ognuno sa di essere in una relazione di reciprocità: l’uno per l’altro. La salvaguardia dell’Unità richiede che nessun territorio sia considerato estraneo o a noi indifferente: che nessuna categoria manchi dei mezzi per tenere il passo degli altri; che nessuna generazione abbia uno sguardo predatorio su quello che c’è a disposizione, senza pensare a chi viene dopo. Le raccomandazioni che S. Paolo raccoglie al termine della sua lettera ai cristiani di Roma hanno come destinatari dei discepoli di Gesù. Ma penso che possano essere per molti aspetti condivisibili come manifesto di una convivenza armoniosa nella quale la competizione esagerata, che porta addirittura all’inimicizia, non ha alcuna giustificazione, pena la compromissione dell’unità. Avere cura della speranza, vissuta nella letizia, non può non mancare in una società perché ci sia futuro e lo si costruisca. La premura dell’ospitalità non è declinabile unicamente verso chi arriva da altri paesi: ospitalità è creare spazio accogliente e benevolo tra di noi, interrompendo la minaccia del “prima noi…”.
Non vuole essere irrispettosa questa mia considerazione: oggi abbiamo un bisogno esagerato di forze disarmate. E ciò è possibile se smettiamo la visione dell’altro come nemico, per costruire alleanze.
Oggi ricordiamo i caduti della guerra: il numero enorme di giovani militari caduti per un’inutile strage (come la definì Papa Benedetto) indusse a far memoria di tante esistenze interrotte in quel fronte e in tanti altri in seguito. L’Unità Nazionale è stata un cammino segnato da tanto sangue. Permettetemi di ricordare che i soldati non furono gli unici caduti: alcuni anni fa è uscito un libro (“Ne uccise più la fame”) nel quale si documentano le vittime che la guerra allora aveva generato nelle zone del fronte a causa della denutrizione o malnutrizione e le conseguenti malattie. Aggiungo: mettiamo insieme anche il dramma che la morte dei soldati che non tornarono provocò nelle donne rimaste vedove, nei figli orfani segnati profondamente dalla privazione della presenza del padre. A conferma che non c’è nessun vincitore in un conflitto armato.
Se l’Unità, allora come oggi, ha avuto un prezzo così alto, non è doveroso ricordarne l’importanza con riconoscenza e insieme con un serio invito alla responsabilità? Magari potremmo anche non fare festa il 4 Novembre, a condizione che non venga meno l’impegno a costruire sempre e da capo la cura dell’essere un unico corpo, in una dipendenza reciproca necessaria e provvidenziale.




