Bobbio Concattedrale
At 4,32-37
Gv 3,7-15
Non c’è contesto più adatto per celebrare una messa di esequie che il tempo pasquale. Per il battezzato l’esistenza è segnata da quell’iniziale immersione nella Pasqua di Gesù, che raccoglie e anticipa il suo approdo. E, anche se spesso la cosa ci sfugge, l’intera esistenza del cristiano vive di questa tensione: di rinascita in rinascita siamo incamminati verso un futuro di gloria. Ed è quello che Gesù ha appena ricordato a Nicodemo: “perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Alzare lo sguardo su Gesù innalzato da terra e credere in Lui rende partecipi della stessa vita di Dio, quella eterna, per l’appunto.
Possiamo dirlo certamente di mons. Pietro Coletto: sta vivendo la sua Pasqua di risurrezione. Ha attraversato con Gesù i giorni della sua passione e morte per partecipare alla vittoria della vita. Quando l’ho visitato in Ospedale, qualche giorno prima di Pasqua, insieme all’emozione per il nostro incontro mi ha trasmesso una serenità dentro alla consapevolezza della gravità della sua condizione. Con l’ironia che gli apparteneva, aveva aggiunto (riferendosi ai medici): “non mi vorranno mica tenere qui altri dieci anni?!”. Il legame con la vita e con il suo ministero non era attaccamento angosciato. La fede si vede tra le pieghe del nostro guardare alla vita e alla sua durata. Perché la differenza la fa la prospettiva nella quale ci si comprende: tutto è importante e prezioso e, insieme, relativo. Credo sia una bella (e invidiabile) testimonianza quella che un battezzato (e tanto più sacerdote) può dare della fede nella risurrezione. È ciò che il sommario degli Atti degli Apostoli ci ha presentato: “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore”. Godere il favore presso il popolo è unito alla testimonianza della risurrezione. La cosa forse può sorprenderci, ma in realtà ci ricorda che uno sguardo radicato oltre il presente rende più liberi, meno attaccati ai beni, capaci di dare il giusto valore al tempo e alle cose. Genera speranza e quindi fiducia. E questo viene apprezzato e cercato.
Il tempo pasquale, con la liturgia che ci aiuta nei 50 giorni ad entrare in questa prospettiva per la nostra persona e per la storia, è tempo di conversione rispetto al modo di stare a questo mondo. Le parole di Gesù appena ascoltate: “dovete nascere dall’alto”, potremmo leggerle come l’invito a rinascere dalla prospettiva che ci attende e non da quello che viviamo ora. In questo modo riusciamo a guardare tutto con occhi diversi. Se il tempo che ci è dato di vivere esaurisce le possibilità che abbiamo, tutto, anche le piccole cose, acquista un peso enorme. Al contrario se guardiamo dall’alto ciò che scorre nella nostra vita, ogni cosa trova la sua misura e il proprio valore. Lo sappiamo bene: questo è veramente pacificante, rasserenante, rispetto all’angoscia e alla paura che spesso segnano le nostre esistenze.
È stato ricordato il tratto di serenità e di bontà che ha caratterizzato la persona di d. Piero. La stima che ha raccolto a Bobbio gli veniva certamente dal suo temperamento, è cresciuta per il suo lavoro appassionato di recupero della memoria storica di S. Colombano, ma insieme si è radicata nel vivere la sua vocazione sacerdotale. Nel dialogo ricordato in ospedale mi confidava che non pensava di diventare prete, anzi, aggiungeva quasi a confermare la cosa, non si distingueva tra gli altri ragazzi. Ho inteso, in questa rivisitazione della sua vita, che volesse sottolineare che la sua vita di sacerdote è stata una chiamata più che un’ambizione. Una chiamata giunta con sorpresa. “E ora sono qui!”, aveva concluso. Non considerandosi ‘degno’ di una simile vocazione. Anche questa è una bella testimonianza di umiltà: non aveva meriti da presentare, ma semplicemente l’aver risposto a qualcosa più grande di sé. Con un bilancio sorprendente: il Signore è capace di farti vivere ciò che non avresti in alcun modo pensato.
E ora, in questo ultimo atto pubblico della comunità bobbiese e del presbiterio, ci raccogliamo, anche noi testimoni della Risurrezione, per consegnare al Dio della Vita, al Signore della storia di tutti, questo nostro fratello. Testimoni della sua fede, della speranza che lo ha sostenuto, della carità pastorale che ha animato il suo ministero, fino all’ultimo. Vorremmo anche noi esprimere un grazie a lui; “un cuore solo e un’anima sola” nell’intercessione per la sua anima: il Signore manifesti la misericordia nella quale ha creduto e sperato e ora possa godere insieme ai suoi cari, al Vescovo Pietro e a tutti i fratelli e sorelle che ha servizio nel suo ministero la beatitudine riservata ai suoi servi fedeli. Si conclude con questa celebrazione la Liturgia terrestre, ma si compie quella che ciascuno è chiamato a partecipare del giorno senza tramonto.




