Compiano – 14.03.25
Ez 18,21-28
Mt 5,20-26
Con questa liturgia noi ci congediamo dal nostro fratello don Amedeo. Da quella comunità con la quale ha unito nel tempo e in profondità la sua esistenza di credente e pastore. Ogni rito delle esequie è un’azione di gratitudine, è il tentativo di raccogliere l’esistenza cristiana e credente, in questo caso anche l’esistenza sacerdotale di un nostro fratello. Teniamo presente che nel battesimo siamo stati uniti alla morte e risurrezione di Gesù, che è già anticipazione di quello che ora stiamo celebrando: d. Amedeo partecipa in pienezza dell’esito pasquale della vita di Gesù. Il segno che ci caratterizza e che accompagna di continuo tanti momenti della vita è quello pasquale. E’ il segno della croce, della Croce gloriosa. Per questo motivo non può che essere una liturgia carica di speranza, una celebrazione che ci assicura che l’Amore ha avuto la meglio sulla morte e sull’ultima stagione della sua vita, contrassegnata dalla tribolazione.
La liturgia oggi ci ha fatto pregare il salmo 129, il ‘de profundis’. Una preghiera di affidamento. Un grido di speranza che vorremmo far uscire dalle labbra di d. Amedeo, perché in esso noi ritroviamo le ragioni della speranza cristiana. Chissà quante volte, in particolare in occasione delle esequie di tanti fratelli e sorelle, d. Amedeo ha pregato questo salmo, dando loro la sua voce e la sua fede. Davanti al Signore le nostre colpe ci fanno confessare che non abbiamo nessuna pretesa. Il salmo ci fa confessare insieme: “Ma con te è il perdono”. Il nome di Dio è misericordia. Per questo motivo il salmista può ripetere: “Io spero, Signore. Spera l’anima mia”. Ciò che d. Amedeo ha pregato ora noi lo ripetiamo con lui e per lui.
Siamo testimoni della sua mitezza: un tratto della sua persona e del suo ministero sacerdotale che ce l’ha fatto apprezzare per la sua discrezione, quasi un voler scomparire per non risultare di troppo. E’ stato un segno ‘sacramentale’ del volto di Dio che entra e si affianca nella nostra vita in punta di piedi. Il modo di porsi di d. Amedeo è stato all’insegna della pace. Non è stato divisivo. “Beati i miti perché erediteranno la terra”, non la conquistano. Non si è impadronito di nulla, ma l’ha accolto. Se Gesù oggi ci mette in guardia dall’avere un linguaggio eccessivo, offensivo verso qualcuno, di d. Amedeo siamo testimoni dell’assenza di parole offensive, di un porsi in nessun modo in forma aggressiva.
Anche lui, come tanti sacerdoti della nostra diocesi, ha manifestato un profondo attaccamento al servizio sacerdotale e pastorale. L’ultima volta che gli ho parlato a gennaio, riconoscendo di non essere più in grado di celebrare due Messe, chiedeva di continuare il suo ministero ancora qui a Compiano. Era il suo modo di sentirsi ancora sacerdote, il modo per continuare ancora a servire la sua comunità. La sua identificazione con il ministero pastorale è stata perfino esagerata, ci viene da dire. Ma la si comprende come espressione della carità, una carità pastorale, appunto.
Oggi egli si presenta davanti a Colui che l’ha chiamato e riservato per il ministero sacerdotale con il grembiule ai fianchi e, siamo certi che riconoscendolo servo fedele, lo farà sedere e passerà a servirlo. Al banchetto della vita che non finisce.