Cattedrale

Is 60,1-6
Ef 3,2-3.5-6
Mt 2,1-12

Questa celebrazione è singolare per l’evidente pluralità di provenienze: la liturgia è attraversata dalla molteplicità di lingue; l’assemblea è veramente un festival di colori. Ma non possiamo ridurla a un fatto folcloristico, ad una celebrazione ad effetto, ad impatto emotivo, diversa dal solito. Non basta, alla fine della Messa, uscire ripetendo: “che bello!”. Questa è una celebrazione che ci parla della Chiesa universale, della cattolicità, cioè, della Chiesa secondo la sua totalità.

L’ho già detto: questa celebrazione fa accadere l’Epifania, la verità di quello che professiamo, cioè che Dio viene per tutte le genti, per tutti i popoli. E tutti camminano alla sua luce. Oggi l’annuncio è più evidente, è sotto i nostri occhi.  Ne siamo partecipi.

C’è un’immagine nell’ Epifania che segna, che caratterizza questa celebrazione: è la ricerca, la ricerca di ogni uomo, di ogni donna ben rappresentata dai Magi. Uomini sapienti perché curiosi, perché si lasciano interrogare, si lasciano inquietare. Non si accontentano di traguardi intermedi. Si mettono in viaggio senza conoscere la meta. Sono coraggiosi, avendo nel cuore la forza del desiderio di incontrare “…colui che è nato, il Re dei Giudei”. In questa ricerca, ci dice il vangelo, hanno bisogno dell’aiuto di Gerusalemme, dove chiedono di essere illuminati, di essere accompagnati. In realtà anche Erode e tutta Gerusalemme avrebbero bisogno di loro, perché, così distratti e assonnati, non hanno visto né la stella, né sentito il coro degli angeli. È suggestivo che ogni ricerca abbia bisogno di qualcun altro a cui porre delle domande, che  possono turbare, disturbare, come abbiamo ascoltato nel Vangelo.

I Magi portano una domanda che nessuno sembra si sia fatta a Gerusalemme. Ecco perché c’è una reciproca necessità: i Magi hanno bisogno dei sapienti della Legge e questi hanno bisogno del coraggio dei Magi. Se leggiamo questa Parola del Signore, quello che stiamo vivendo in questa assemblea, quello che questa assemblea rappresenta per la nostra città, la nostra diocesi, il nostro territorio, possiamo allora capire e comprendere come chi arriva tra noi, chi è già arrivato tra noi, giunga con domande e con tesori tra le mani che ci sono necessari.

Potremmo risolvere il fenomeno migratorio in una ricerca di condizioni migliori di vita, in una ricerca di dignità che i paesi da cui provengono i nostri fratelli e sorelle non possono garantire. E se ci fosse, invece, in questo bisogno, la strada che il Signore sta percorrendo per smuovere le nostre presunzioni, per smuovere la nostra indolenza? Ci sta davanti agli occhi il dato statistico della percentuale di bambini e ragazzi che frequentano le nostre scuole qui a Piacenza e in provincia. Sono numeri importanti, sono segni di un fenomeno consistente, segni cioè di una presenza in mezzo a noi di persone che giungono da altri paesi, da altre culture. Come rischiamo di vivere questo fenomeno? Come un impedimento a mantenere livelli qualitativi per l’insegnamento e l’apprendimento. Tanto è vero che c’è il rischio che alcune famiglie cerchino di iscrivere i propri figli dove questo fenomeno non è presente o è presente in maniera molto più limitata. Non potrebbe invece diventare l’occasione per creare percorsi di integrazione reciproca, oppure incontro di culture, di tradizioni diverse? Non potrebbe essere proprio un’opportunità da sfruttare piuttosto che un pericolo da cui allontanarsi?

Ormai credo ci sia la consapevolezza che questo fenomeno sta mutando il modello scolastico e deve farlo, proprio a partire dalla realtà. E’ anacronistico un progetto che corrisponde ad altri tempi e ad altre condizioni.

Ma pensiamo anche alle nostre esperienze di fede, alla nostra vita ecclesiale. Riconoscerci reciprocamente portatori di una tradizione di fede che ci completa può essere un’occasione, un’opportunità preziosa per tutti. E’ l’opportunità di convertirci gli uni verso gli altri alla logica del dono. È interessante che i Magi arrivano con in mano dei doni preziosi e li offrono. Questo ci fa capire  che la loro ricerca non è finalizzata a ottenere qualcosa, ma ad adorare il bambino. Ogni incontro chiede lo stupore. Convertirci alla logica del dono significa che abbiamo qualcosa da offrire, ma abbiamo anche qualcosa da ricevere. E’ questa la logica del Vangelo, quella che Gesù riassume nel comandamento: “amatevi gli uni gli altri”, dove c’è un dare e un ricevere, l’uno necessario come l’altro.

Credo, allora, che questo spazio di conversione possa aiutarci a crescere, a crescere anche come comunità cristiana. San Paolo ci ha ricordato, nella seconda lettura, che abbiamo una risorsa. La risorsa è il Vangelo. Il Vangelo è il mistero dell’incarnazione e dell’Epifania: “Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della stessa promessa”. Così ci ha ricordato l’Apostolo. Il Vangelo di Gesù Cristo è proprio questo. Lo stesso corpo nasce dal fatto che siamo eredi, in quanto figli di Dio, del suo amore. E l’amore di Dio è la forza che ci fa cogliere le differenze come parte di un tutto. Senza una parte non c’è il tutto, senza qualcuno non c’è corpo.

Senza questa comunione non c’è Vangelo e nessuna parte può mai avere la presunzione di esaurire la grandezza dell’essere figli e figlie di Dio e quindi partecipi della sua eredità.

Il Signore allora ci doni di prolungare nella vita la verità che stiamo celebrando. In questa celebrazione eucaristica, in questo giorno dell’Epifania, possiamo diventare Vangelo nel nostro territorio, nella nostra città, possiamo essere annuncio che questo essere figli e figlie dello stesso Padre è ciò che ci fa essere fratelli in un solo corpo.