Cattedrale
Is 50,4-7
Fil 2,6-11
Mc 14,1 – 15,47
Quella che stiamo per iniziare è una settimana molto particolare. Perché, passo dopo passo, ci è offerto di entrare nella settimana di Passione di Gesù. Possiamo viverla come spettatori distratti, occasionali (partecipi di alcuni momenti) … oppure come discepoli che accettano con coraggio di stare dietro a Lui. Correndo il rischio di essere provocati. Ma anche ricevendo la grazia di entrare nel Suo cuore e nel cuore del Suo Amore.
Dobbiamo vincere la tentazione di affrontare questa settimana con l’atteggiamento di qualcosa di conosciuto. Per questo motivo vi suggerisco di pensare che sia un’occasione nuova, almeno per il fatto che anche noi siamo immersi (da più di un anno) in una ‘passione’. Stiamo patendo una condizione di estrema sofferenza e di conseguente disorientamento, sperimentandoci per lo più soli, abbandonati, per più di qualcuno, anche dal Signore. Insieme a tanti, ma con la sensazione che nessuno possa entrare in ciò che viviamo. Per questo ci sentiamo soli.
In questa settimana ci è offerta la possibilità di scoprire che la condizione che stiamo vivendo è abitata. Abitata da Gesù, perché l’ha già attraversata. L’ha conosciuta e patita, nell’abbandono fiducioso al Padre. Contemplare, porre lo sguardo su Gesù e sui sentimenti che ha vissuto in questi giorni, ci può far scoprire il Signore-Dio negli stessi sentimenti che stiamo provando in questo tempo. Non ci ha abbandonati a noi stessi, perché ha già preso parte alla nostra sofferenza.
Ci è chiesto di stare con il Figlio di Dio esaltato/osannato (oggi) e progressivamente abbandonato; tradito e rinnegato dopo promesse di fedeltà; deriso e seviziato; consegnato e messo a morte in una forma crudele.
Egli è l’“uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53,3).
Oggi è il Re, o meglio, il Messia che entra a Gerusalemme osannato, cavalcando un puledro di asino: cavalcatura mite, non abile alla guerra. È un Messia povero, che non possiede neanche questo umile animale e deve chiederlo in prestito, dando garanzie di restituirlo. Dovrà chiedere in prestito anche la sala per celebrare la Pasqua con i suoi amici. Un Messia circondato da una folla entusiasta, ma anche volubile. Certamente non affidabile se pensiamo che è la stessa che griderà a breve: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!” e: “Vogliamo libero Barabba”.
Quello che lo accoglie all’ingresso della Città è un successo popolare, ma sul quale non si può contare, perché la folla non può sostenere un re-Messia spogliato, in balìa di tutti, impotente. Chi mai sta dalla parte del perdente?
È una folla che stende davanti a Gesù, cioè che mette a disposizione quello che ha: i mantelli e le fronde tagliate nei campi. Un bell’esercito su cui contare!
In questi giorni assisteremo ad un continuo movimento di Gesù e dei suoi discepoli di entrata e di uscita da Gerusalemme. Potremmo leggere il tutto con il fatto che Gesù, durante la sera, trova riparo fuori città, in luoghi ospitali, tra amici. Ma possiamo intravvedere in esso un inquieto movimento interiore: una spinta a donarsi, ad andare incontro alla morte e una resistenza che nasce dal naturale bisogno di salvare la propria vita: “ma è proprio questo quello che mi chiedi, Padre?”. Potrebbe essere il segno del travaglio vissuto da Gesù per giungere a dire un “sì” incondizionato. Questa lettura darebbe conto dell’umanità di Gesù, sulla linea della confidenza fatta ai suoi discepoli: “La mia anima è triste fino alla morte” e della preghiera innalzata al Padre: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”.
Facciamo l’esercizio di lasciare risuonare in noi l’umanità di Gesù, perché questo ci permette di comprendere come è giunto a maturare nella sua ‘carne’ fragile, la fiducia nel Padre e un amore grande per compiere l’offerta della sua vita.
Il Dio che si fa compagno del nostro cammino si presenta nell’umanità di Gesù: disarmato, umile, povero di mezzi; che sa di non poter contare su una folla (e su discepoli) acclamante; che accetta di non essere un eroe e che impara veramente l’obbedienza dalle cose che patisce.