Gv 12,20-28
“Signore, vogliamo vedere Gesù”. È la domanda che alcuni greci rivolgono a Filippo. Certo, nel contesto evangelico c’è un interesse di chi, straniero, cerca chi, parlando la tua lingua e comprendendo quindi la tua richiesta, può dare risposte al tuo desiderio. Per capire le domande che ci sono nel cuore dell’altro c’è bisogno della lingua del cuore. E se questa domanda, più o meno esplicita, fosse rivolta a ciascuno di noi? Se al discepolo fosse sempre richiesto di far vedere Gesù, di renderlo vicino per incontrarlo?
Potremmo leggere anche alla luce di questa domanda l’esistenza di suor Leonella. Come risposta alla domanda che si sentiva rivolta: “fammi vedere quel Gesù che tu segui e che ti ha fatto lasciare tutto. In un certo senso, rendendoti straniera nella tua stessa terra”.
“Fammi incontrare quel Gesù per cui stai dando la tua vita! Rendi trasparente, credibile quella fiducia in forza della quale stai morendo a te stessa perché qualcosa di nuovo possa spuntare”.
“Se il mio corpo e il Suo sono una cosa sola, se il mio sangue e il Suo sono una cosa sola, allora è possibile essere sempre dono d’amore per tutti. Sempre, in ogni momento” (sr. Leonella).
La sua forza è stato questo legame con Gesù eucaristia, cioè con Gesù nell’atto di offrire sé stesso. Ecco il segreto per poter giungere a dire: “ho desiderato darti tutto”. Non è frutto di un gesto eroico, ma l’essere quella ‘cosa sola’ con il corpo spezzato e il sangue versato. Mostraci Gesù che, alla sua, antepone la vita dell’altro. “Spero di avere cercato di rivelare l’Amore del Padre per tutti i Suoi figli, la sua consolazione -Gesù- e ho cercato di fare l’unica cosa che penso serva: voler bene”. E’ l’eco delle parole di s. Pietro dopo la Pentecoste: Gesù passò facendo del bene a chi incontrava.
Leonella, nel periodo di servizio da superiora generale, ha lavorato per aprire nuovi orizzonti alla missione dell’Istituto: operò per consegnare la gestione del Nazareth Hospital. Lì l’opera poteva considerarsi conclusa: c’era un luogo più povero (Makima) che aspettava consolazione.
Leonella incarnava il volto di Gesù che partiva per un altrove, che non si sedeva sui traguardi raggiunti: ci sono altre periferie da raggiungere, dove testimoniare la mitezza e la mansuetudine del Figlio di Dio.
Il servo di Jahvé (ci ha riproposto la profezia di Isaia) è mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati (…) a consolare tutti gli afflitti.
La consolazione come vocazione e missione è stata per suor Leonella il filo conduttore delle scelte sue e dell’Istituto quando è stata chiamata a ruoli di responsabilità e di governo.
Infine in lei, colpita da quelle pallottole sparate la domenica 17 Settembre 2006, si trovano le parole di Gesù sulla croce: “perdono, perdono, perdono”. Sussurrate come l’ultimo respiro, come lo Spirito che Gesù emette dall’alto della croce. “Vogliamo vedere Gesù”. Gesù è qui in questo corpo colpito, in quel sangue versato, dal quale non esce che l’unica preoccupazione che ha animato la sua esistenza: l’altro. Avrebbe tutti i motivi, invece non si preoccupa di sé e della sua vita, ma di chi l’ha colpita. E si realizza, così, la profezia ascoltata: ecco la quercia di giustizia, la donna giusta perché forte, come la quercia, più della violenza che sembra avere il sopravvento.