Al rientro dalla GMG di Lisbona, dove ha accompagnato 300 giovani della nostra Diocesi, il Vescovo Adriano propone le sue riflessioni sull’evento, sui giovani che ha incontrato durante la permanenza, sul senso di vicinanza e di essenzialità condiviso lungo il percorso. Ecco il testo integrale:

A riflettori spenti

Come è stato fatto notare il silenzio sulla Giornata mondiale della gioventù di Lisbona è regnato sovrano nei giornali nazionali. Perché qualcuno ha deciso che un milione e mezzo di giovani, provenienti da tutto il mondo, non “fa” notizia. 

Nella realtà c’era una notizia. Da raccogliere. Sicuramente da comprendere e da interpretare. Ciò che “fa” notizia è la decisione di trasmetterla e il modo di farlo.

Si può dare notizia, fare un pezzo usando le immagini corredandole con i testi del Papa. Ma per comunicarlo, ogni evento andrebbe almeno in parte vissuto, letto dall’interno. È stata questa la ragione che mi ha spinto a partire e a tornare insieme ai giovani della diocesi. A starci dentro per capire perché trecento giovani delle nostre comunità, più un altro gruppo che ha fatto un proprio percorso, hanno scelto di dare due settimane della loro estate per poter dire: “io c’ero”. 

Di sicuro non riporto nulla di trionfalistico. La chiave di lettura non è la conferma che il Covid è passato e che siamo tornati ai “numeri” pre-pandemia. Sempre che questa espressione esprima qualcosa di reale.

Giovani “veri”

Nei viaggi, nei dialoghi, nei momenti organizzati e in quelli informali ho accostato dei giovani assolutamente “veri”, non costruiti e corrispondenti al “bravo-giovane-cattolico”. Al ritornello cantato fin dal primo incontro: “Esta es la juventud del Papa” (“questa è la gioventù del Papa”) mi sono chiesto cosa volesse dire se non che i giovani del Papa sono questi. Con questa gioventù il Papa, la Chiesa ha a che fare. Su di loro può contare, con loro deve camminare. Ho letto che c’è stato chi si è scandalizzato per le forme nelle quali si sono mostrati durante l’intrattenimento e nei raduni. Sono gli stessi giovani che sono riusciti ad apprezzare l’intensità della Via Crucis, a passare con una velocità impressionante (a noi adulti) dalla caciara e dal disinteresse di una certa parte, al silenzio di tutti nel momento dell’adorazione eucaristica della Veglia. E senza che nessuno li invitasse, a mettersi in ginocchio.

Un misto di opposti

Sono i giovani che seguono le canzoni e ballano al ritmo della musica sparata a loro familiare, e che passano a momenti di condivisione di altre “musiche”, quelle sussurrate nel loro cuore. Mescolano le lacrime delle loro sofferenze con l’esibizione della loro intraprendenza nell’affrontare contesti culturali diversi. Esperti tecnologici e balbuzienti a volte nel dar voce ai loro vissuti interiori. Insofferenti e lontani dalla partecipazione fedele alle nostre celebrazioni e capaci di intonare il rosario davanti alla grotta di Lourdes.

La mia “conversione” è stata quella di guardarli per quello che sono: un misto di opposti. Così tendo a valutare la compresenza di aspetti difficili da tenere insieme. Liberandomi dal pretenderli come un “prodotto finito”, che tanto farebbe piacere a me e ad una parte di noi adulti. Poi ti domandi qual è il prodotto che vorremmo… forse sarebbe uno stereotipo per nulla autentico. Una fotocopia dei nostri sogni?

Questi giorni sono stati un invito ad accettarli in “stato di lavorazione”. È più “scomodo” perché chiede di accettare la strada e la (loro e tua) fatica. Ma solo perché patisci lo stesso caldo e mangi la stessa polvere puoi raccogliere la confidenza che apprezzano l’adulto che fa strada con loro, che gli dedica del tempo e che accetta di piegarsi (come ha ricordato papa Francesco) per aiutare l’altro ad alzarsi o a superare la sensazione di essere lasciato solo. Stare in silenzio accanto a loro per scoprire che si aspettano dall’adulto autenticità (“mia mamma non mi chiede mai scusa, anche quando ha chiaramente torto”). 

C’è un Dio che ti ama

Sono stati giorni dove l’annuncio cristiano ha avuto forti risonanze in loro: hanno confermato che la buona notizia del vangelo fa breccia in cuori assetati. Sentirsi dire che c’è un altro modo di guardarti, che è quello del Dio che ti ama, e per il quale sei un prodigio, può farti uscire dalle secche dell’inadeguatezza e della corsa al perfezionismo. È stato efficace sentire che nella vita tutto ha un prezzo e che solo l’amore è gratis. Di sicuro quello di Gesù.

Cosa è accaduto in questi giorni di diverso dagli altri giorni dell’anno? Forse un senso forte di vicinanza. Una essenzialità imposta anche dai disagi patiti dalle lacune organizzative. Una disponibilità a rischiare un silenzio e un ascolto. Un sentirsi Chiesa. Un far risuonare con più forza il cuore dell’esperienza cristiana.

I due “campi” nei quali si è svolta la Gmg portano due nomi emblematici: il campo dell’incontro e il campo della grazia. Il campo non è un recinto chiuso, ma uno spazio aperto dove si intrecciano incontri, spesso imprevisti. Ovunque la vita è un campo di incontro, di amicizia sociale e non di scontro. Di relazione e non di competizione. Per questo il campo può diventare un campo di grazia, cioè uno spazio dove il protagonista è il Signore. Che opera la salvezza che è il riscatto dalla morte.

Il tempo dei social

Tornando alla constatazione che i riflettori della grande stampa sono stati minimi, se non assenti, si può dire che questo è il segno della fine di un’epoca della comunicazione, quella che affidava alle grandi testate la possibilità di esistere per lo spazio che ti veniva riservato. In realtà la notizia dell’evento ha girato. Eccome. Ma su altri canali mediatici. Quelli dei social. In tempo reale. E con una diffusione ben maggiore di qualunque testata giornalistica. Che sia la dimostrazione che la vita con i suoi eventi ha trovato il proprio modo per rendere partecipi le persone di quanto vivono? Raccogliamo la lezione che ogni evento anche ecclesiale e pastorale dovrà prevedere il modo per renderlo presente attraverso gli strumenti ai più accessibili. Perché “esista” pienamente l’evento deve curare la partecipazione, perché ogni evento di grazia è sempre per tutti.

† Adriano Cevolotto,

vescovo di Piacenza-Bobbio