S. Lazzaro 1Sam 16,1.4.6-7.10-13 2Cor 5,14-20 Lc 5,1-11
Verso la conclusione della sua interessante riflessione su San Vincenzo, padre Nicola ci ha ricordato il “martirio della carità”. Da dove nasce il martirio della carità? Qual è la sua sorgente? Quali sono le condizioni per entrare in questo martirio? Nella ricerca di risposte ci lasceremo condurre dalle immagini della liturgia odierna, capaci di delineare le strade perché anche noi possiamo incontrare questo “martirio”.
La prima lettura ci ha descritto come avviene la scelta del Re di Israele, che si compie attraverso un discernimento, il cui esito sorprende, perché Samuele (come Jesse) è chiaramente guidato nella scelta da un criterio di buon senso. Aveva le sue ragioni per puntare sulla primogenitura o, in alternativa, sulla prestanza fisica, proprio per il compito che il Re aveva di essere a capo di un esercito. La forza era richiesta per essere un re vigoroso. Le cose, se si fossero indirizzate su questa strada, si sarebbero potute risolvere velocemente. Invece la prima operazione che il Signore fa, per operare un vero discernimento, è quella di smontare i criteri del senso comune. “Non è costui!”. Il profeta si sente ripetere che non è con i criteri della ragionevolezza umana che Dio valuta. Così capisce che deve lasciarsi guidare dal Signore. E la pagina biblica aggiunge: “Dio guarda il cuore”; non guarda l’apparenza, guarda il cuore. Quanta poesia possiamo metterci in questa affermazione, se non fosse che la vicenda di Davide, evidentemente scelto per il suo “cuore”, contraddice clamorosamente l’idea che nel cuore ci sia la bontà! La vicenda di Davide la conosciamo tutti. Allora la domanda nasce spontanea. Qual è il “cuore” che il Signore vede? Quello che Davide ha o quello che riceverà dall’azione di Dio? Il Signore crea un cuore per assumere una responsabilità, per vivere i compiti affidati, le nostre vocazioni, per poter vivere la carità. Guarda al cuore nel quale Lui può entrare. E’ un cuore che si radica nell’iniziativa di Dio, senza meriti. Davide sa bene che, come all’inizio, anche nel corso della sua vita non sarà per la sua adeguatezza che verrà riconosciuto come l’eletto di Dio. Anzi, dovrà cercare di rimanere radicato nella sorprendente elezione di Dio, che va oltre ogni corrispondenza.
Per questo Davide sa di non poter vantare nessun merito, niente davanti al Signore, e tantomeno davanti ai suoi fratelli e a suo padre.
Allora il “cuore” necessario è quello che sperimenta sulla propria pelle, sulla propria storia, che c’è un’iniziativa di Dio assolutamente sorprendente.
Non solo: è il “cuore” che rimane per tutta l’esistenza dentro a questa logica di Dio: Lui ti sceglie e continua a sceglierti (come del resto è successo anche a Simon Pietro) non per la tua adeguatezza, cioè non perché sai corrispondere bene alla sua chiamata e alla missione che ti affida. Lui ti ha scelto, ti sceglie e continuerà a sceglierti.
Perciò il cuore che è capace di inoltrarsi dentro a questa logica del “martirio” è il cuore che sa scoprire, sa gustare, sa commuoversi di fronte all’iniziativa libera e gratuita del Signore.
La seconda pagina delle Scritture rivela il contenuto della chiamata: siamo ambasciatori di un annuncio, che risuona nell’espressione: ”lasciatevi riconciliare”. Siate ambasciatori di riconciliazione.
L’annuncio non è: “riconciliate gli altri”, ma “lasciatevi riconciliare”. Vincete le resistenze che ostacolano il lasciarvi riavvicinare. L’invito è a non arrendersi alle distanze che tante volte le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri criteri generano e mantengono con gli altri.
Non possiamo rinunciare a credere che ci sia un margine di comunione, di amore, di perdono…, per noi, prima di tutto, e per gli altri.
“Le cose di prima sono passate”, perché chi vive in Cristo vive una vita nuova. Non possiamo lasciarci inchiodare dal passato.
L’essere “figli della risurrezione”, come dice Gesù in un’altra pagina, non è essere a servizio di un amore più forte della morte? E se noi nel Battesimo siamo diventati nuove creature, non è proprio ciò di cui dobbiamo essere annunciatori?
Sappiamo bene quanto pesa il passato, una zavorra che spesso fa sprofondare ogni nostro sguardo sul futuro. Sul futuro nostro, come sul futuro degli altri, e perciò sulla fraternità. La carità stessa è minacciata quando pensiamo che “c’è una misura” al bene, al perdono… a tutto. Ci trinceriamo dietro a questo buon senso che ci fa dire nei confronti dei poveri o degli altri che abbiamo già dato. E invece: “Lasciatevi riconciliare nella carità di Cristo”. Credo sia proprio questo l’altro passaggio che oggi la liturgia della Parola ci consegna, per inoltrarci nella prospettiva del “martirio della carità’” Lo ritroviamo nella pagina del vangelo, in quel gettare di nuovo le reti, in un gesto paradossale che vince la logica del calcolo. Anche qui possiamo dire che c’è un passato che pesa: quella notte trascorsa inutilmente a pescare. Eppure il Signore Gesù invita Simone a gettare di nuovo le reti, prendendo il largo.
Carità e fede coincidono nel gesto di Simon Pietro. Perché la carità è dare spazio all’azione di Dio che è più grande di ogni nostra misura, di ogni nostro calcolo. E’ oltrepassare la convinzione che la carità sia in mano nostra. La carità invece ci trasforma, ci fa essere. Per questo nell’accogliere il comando di Gesù: “Prendi il largo, gettate le reti”, Pietro compie un atto di fiducia che gli permette di sperimentare la Carità di Cristo.
Ripercorrendo la vicenda di San Vincenzo, padre Nicola ci ha proprio ricordato che la carità è capace di trasformare noi prima degli altri. Perché è nel nostro dedicarci, nel nostro rinnovare con fiducia quel gesto di amore di gettare di nuovo le reti che ci consegniamo all’azione potente della parola di Gesù. L’atto più grande e più bello di carità che possiamo fare, dunque, è quello di tornare a radicarci nella carità di Cristo, morendo a noi stessi.




