Cattedrale Am 8,4-7 1Tm 2,1-8 Lc 16,1-13

Ci siamo riuniti in Cattedrale per vivere il giubileo della vita consacrata che, non dimentichiamolo, è essa stessa segno di speranza. Vuol testimoniare ciò che ci attende, vuol dire che c’è un primato da cercare per tutti, che è il Dio di Gesù Cristo, l’unico che radica il presente nel suo Regno che viene. Per queste ragioni, prima di qualunque altra considerazione, invito ciascuno/a a chiedersi: che cosa sto/stiamo testimoniando? Stiamo testimoniando la gioia, la gioia del futuro, la gioia della fede? Siamo dei segni, dei richiami di speranza? E’ proprio questa la grande conversione richiesta, in modo speciale in questo anno giubilare. Vuol dire tornare a ricentrarci nel cuore della nostra vocazione.

Ci lasciamo guidare, accompagnare dalla Parola che il Signore oggi ci ha rivolto attraverso queste pagine della scrittura, compresa quella che ha aperto il nostro breve pellegrinaggio. Proprio lì, nella pagina della lettera ai Romani (Rm 5,1-5) dalla quale Papa Francesco ha attinto il tema di questo anno giubilare (“La speranza non delude”) abbiamo colto un principio che forse rischiamo di non ricordare: la speranza è frutto di un cammino, di un cammino permanente. Abbiamo sentito San Paolo dire che “la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata (che dà buona prova di sé), la virtù provata la speranza”.  Vuol dire che proprio nella pazienza possiamo dare una buona prova di noi e la virtù provata diventa così speranza. Essa si fonda sull’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori. San Paolo ci dice che il percorso passa attraverso le tribolazioni, le quali maturano la pazienza e la fedeltà. Il cuore colmato dall’amore di Dio è aperto alla speranza quando abbandona l’illusione che ciò che ci attende sia nelle nostre mani, dipenda primariamente da noi. Se invece il nostro cuore è abitato dal Suo amore, siamo certi che Dio custodisce il presente e quello che ci attende. Credo allora che questo sia un primo aspetto importante: pensare al modo in cui noi possiamo vivere le tribolazioni di qualunque genere: personali, comunitarie, ecclesiali.

Vorrei inoltre raccogliere dalla pagina evangelica alcune indicazioni per rinnovare il desiderio e la volontà di essere uomini e donne di speranza.

  • Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti “. E’ una parola, quella di Gesù, che ci consegna l’importanza delle “cose di poco conto”, la responsabilità verso di esse. Tutto va preso sul serio perché prima di tutto ha a che fare con la mia fedeltà. Quando siamo noi a decidere quali sono le cose che hanno valore, manchiamo alla promessa di fedeltà a Lui. Ne deriva il fatto che la fedeltà sta veramente nei dettagli, nelle cose più semplici, nelle piccole incombenze, nelle occupazioni ordinarie, perché in queste è in gioco la fedeltà alla nostra professione, la custodia del carisma, della vocazione a una vita consacrata. Il Signore non ci ha chiamato per fare cose straordinarie o per vivere la nostra consacrazione in chissà quali gesti che possono cambiare le sorti della storia. Ci ha chiesto di essere al Suo servizio, di seguirlo con tutto noi stessi, con tutte noi stesse, dentro la vita di tutti i giorni. Così tutto diventa importante. Gesù, in sostanza, ci ricorda che le cose grandi sono custodite in quelle piccole e semplici.
  • L’altra parola impegnativa riguarda la fedeltà al proprio Signore: “nessun servitore può servire due padroni”. Eppure ci troviamo, non di rado, esposti alla divisione, al compromesso per non voler perdere ciò che ci dà sicurezza immediata.

Tentati di voler stare con un piede da una parte e uno dall’altra, in fondo di rinunciare a ricentrarci su ciò che è fondamentale e unificante: il Signore e la relazione con Lui. Quando abbiamo paura di perdere ciò che ci rassicura, come possono essere le ricchezze di cui parla il Vangelo, allora noi tendiamo a porre un altro Signore nella nostra vita, a salvarci attraverso quella garanzia, quella sicurezza che riponiamo nel controllo. Ci possono essere altre ricchezze, cioè altre cose di valore, di peso, che si appropriano del nostro cuore. Amare allora con un cuore indiviso è la grande sfida, ma potrei dire anche la grande profezia di cui oggi c’è molto bisogno. Il rischio di far convivere tutto e il suo contrario nel nostro cuore oggi è sempre più diffuso e noi non possiamo immaginare di essere esentati da questa tentazione.

  • Infine vorrei raccogliere un ultimo aspetto, riguardo alle fedeltà alla quale siamo chiamati, dalla profezia del profeta Amos. C’è un richiamo forte al rispetto per il povero e all’agire con giustizia. A volte è più facile riconoscere il povero e le forme di ingiustizia fuori del nostro ambiente.  In realtà ci sono poveri e forme di ingiustizia che ci appartengono e appartengono ai nostri ambienti, alle nostre relazioni. Perciò dentro alle nostre comunità, e con le difficoltà a riconoscerle e ad accoglierle. Tante volte le nostre reazioni verso coloro che potrebbero essere identificati come poveri accanto a noi derivano da come essi si propongono. Tendiamo a dimenticare che il povero non è né bello né simpatico, al contrario produce e procura una reazione di rifiuto, ci risulta insopportabile. Proviamo a domandarci cosa vuol dire essere fedeli ai poveri, alla giustizia, a partire dalla nostra vita personale, comunitaria e ai servizi che ci sono affidati. Ci sono poveri che mi sono accanto? Chi sono? Come vivo la mia relazione con loro?

Nei giorni scorsi abbiamo fatto memoria della Beata suor Leonella: che accanto alla vita per i più poveri è stata profezia del perdono.

Possiamo anche noi domandarci quanta benevolenza e misericordia possiamo avere con i poveri che ci stanno accanto, i quali forse hanno più bisogno di questo che di un aiuto economico, peraltro spesso necessario. Sì, il dono più grande che possiamo fare loro è l’uso della misericordia, il gesto profetico che non solo ci è possibile, ma ci è richiesto come generato da quel Signore che è il nostro vero Signore.

La vita consacrata è certamente in crisi di vocazioni, ma prima (o insieme) alla legittima preoccupazione di questo dato, chiediamoci come possiamo essere oggi testimoni di speranza. A tutti e ciascuno è richiesto di vivere autenticamente la nostra consacrazione, in questo tempo che ci è dato. Il Signore provvederà a rinvigorire la vita consacrata, suscitando magari nuove forme. Anche questo è un modo per testimoniare nella tribolazione la speranza nel Dio che continua a suscitare i carismi di cui c’è bisogno.

Allora chiediamo questo atteggiamento di fede e di speranza, perché il Signore ci aiuti a vivere nella gioia il tempo che ci è dato. Nella gioia e nella fedeltà.