Lc 13,1-9
Una pagina di attualità: succedono dei fatti tragici (o la violenza da parte dei potenti di turno, qui Pilato, o la morte per un crollo improvviso) e c’è bisogno di spiegazione: perché succedono queste cose? Perché la morte innocente…?
‘Interpretare gli avvenimenti’. Potrebbe essere il titolo di questa pagina evangelica. Gesù dà voce alle interpretazioni più diffuse (allora come oggi): il modo più frequente di leggere i fatti è di ricondurli nella logica dei meriti. Capita qualcosa di tragico a qualcuno e si commenta: “Non se lo meritava”. Allo stesso modo lo diciamo per noi: “che cosa ho fatto di male per meritarmi questo?”. Sotto sta l’idea che il male, in qualunque forma esso si presenti, appartiene alla ‘giustizia’ di Dio. Dio punisce o premia i colpevoli o le persone buone/giuste. Sulla stessa linea quando per giustificare un episodio sentenziamo: “se l’è cercata”. Espressione che in genere si accompagna con una certa soddisfazione: come dire, questa volta approvo l’agire di Dio!
Questo modo di valutare i fatti, la cronaca viene condannato da Gesù perché presta il fianco alla ‘deresponsabilizzazione’: non è colpa di Pilato, di chi cioè compie il male, e, per quanto riguarda l’osservatore, la storia è uno spettacolo che non mi interpella, non mi tocca, non mi mette in alcun modo in discussione. Ci si tira fuori.
Gesù ripete per due volte la stessa frase: “credete che fossero più colpevoli?”, e alla domanda che non aspetta risposta Gesù aggiunge: “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Non pensate che la vostra vita sia meno precaria e provvisoria della loro!
→ C’è stato qualcosa a livello personale, familiare o comunitario… che vi ha fatto cambiare, convertire? Come è successo?
Potremmo raccogliere l’invito di Gesù che suona più o meno così: “lasciatevi interpellare”, pro-vocare perché ciò che succede può nascondere o rivelare qualcosa che riguarda la tua vita e la tua persona. In caso contrario, può accadere di tutto… ma invano. Per te non cambia niente.
Proviamo a pensare: è avvenuta una crisi economica che ha messo in ginocchio l’idea di uno sviluppo esponenziale… è arrivata la pandemia che ci ha destabilizzato facendoci perdere le sicurezze più ovvie…, ma ho l’impressione (non solo io) che non ci siamo lasciati interpellare in maniera significativa. Cosa è cambiato veramente del nostro modo di intendere la vita? Di pensare il vivere e il morire? Le cose per cui val la pena vivere e per cui si possa morire…? Non vorrei che anche la reazione alla guerra in Ucraina si esaurisca nella spinta istintiva e immediata, senza farci convertire.
‘Passare dalla cronaca al mistero’ (a ciò che vi è di più profondo da scorgere e che mi riguarda) è la condizione per interpretare correttamente ciò che ci può accadere…
→ Interessante anche la parabola che troviamo nella seconda parte del Vangelo che abbiamo ascoltato…
A proposito di conversione, se essa è identificata con i frutti che la pianta di fico deve fare, quanto tempo abbiamo? O anche, come possiamo dare frutto (sono tre anni… e niente!)? Il padrone con le sue parole esprime la decisione radicale: è inutile! Sfrutta solo il terreno! Taglialo. Viene spontaneo spesso rinunciare. Basta!
In quel fico che fa solo foglie ci sono io, ci sei tu, ci sono i nostri figli…conosciamo la delusione di fronte ad attese che impattano con la delusione. La soluzione prospettata ha tutte le ragioni di questo mondo: non ha senso sfruttare il terreno. Non serve a niente! A mali estremi, estremi rimedi!
Il contadino della parabola incarna invece il servizio (necessario) alla conversione:
- ‘un atto di fiducia’ (“lascialo ancora quest’anno”), è il termine che si usa anche per dire il perdono;
- ‘un paziente impegno ulteriore’ (“finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime”) che esprime l’atteggiamento di chi si mette in discussione: forse non ho fatto del tutto… Ma insieme dice il legame verso quel fico;
- alla fine non sarà lui a tagliare la pianta (“se no, lo taglierai!”), se fosse per me rimango qui a lavorarci attorno: ‘la speranza invincibile’!
→ è vero! Succede questo quando si vuole bene a qualcuno! E quell’amore paziente ci converte…
“E tu cosa sei disposto a fare… per avere cura dell’altro/a?”. Ci sono tanti modi per assecondare il pensiero che non ci sia più niente da fare… che è inutile.
- Quando prima di tutto non ci crediamo più;
- quando pensiamo che dipenda da quello che abbiamo fatto e che sia un fallimento nostro;
- quando non ci chiediamo perché non dia frutto, quali possono essere i motivi.
‘Zappare’ la durezza che c’è in noi verso di lui/lei. Come pure zappare con delicatezza la durezza che c’è nell’altro, cercando di ammorbidirlo con cura, a volte con decisione. Quella crosta è ciò che ci rende impermeabili a qualunque osservazione (permalosità, orgoglio…).
‘Gettare il concime’: vale a dire tutto ciò che non si sostituisce alla pianta, ma rende vive le sue risorse, come la preghiera, i messaggi di fiducia, il dialogo paziente, l’amicizia…
Riesco a favorire le potenzialità presenti nell’altro, convertendomi così ad uno sguardo diverso verso di lui/lei?




