Cattedrale
Is 52,7-10
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
Il Natale produce uno sconvolgimento. Lo possiamo paragonare ad un vero e proprio terremoto che manda all’aria ciò che nell’immaginario collettivo è incrollabile: la netta divisione tra il cielo (abitato da Dio… perché oltre – inaccessibile) e la terra (questo nostro spazio, sinonimo di concretezza e di umanità); quindi Dio (che qualcuno ha chiamato il Totalmente Altro) e l’uomo (che è sinonimo di caducità e per sua natura finito)… Il modo di immaginare la realtà è fondato molto sugli opposti e sull’alternativa…
Il Natale sembra un paradosso: i cieli (gli angeli) invitano ad abbassare lo sguardo e a scrutare la terra per incontrare Dio. Anzi a cercare nei luoghi più nascosti e meno straordinari. A Natale gli opposti si incontrano e sembra che Dio abbia abdicato, rinunciato a quella potenza e a quella separazione nelle quali lo abbiamo collocato.
Per alcuni versi questa unità di Dio con l’uomo, la possibilità di trovare la presenza di Dio dentro alla storia e all’umano rende più impegnativa la vita del credente. Perché chiede sguardo attento, contemplazione, discernimento. La cosa è laboriosa ed insieme affascinante. Allora per incontrare il Signore non bisogna uscire (dal proprio corpo – dalle relazioni – dalla storia…), al contrario, è necessario entrarci, penetrare il nostro vissuto per scorgere nelle pieghe della vita i segni della sua presenza amorevole e salvante. L’incarnazione del Verbo di Dio dà valore a tutto.
È quello che troviamo nel prologo del Vangelo di Giovanni: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Illumina nel senso che gli dà i contorni del suo essere e del suo agire. Per comprendere il “chi sono io?”, “chi sono chiamato ad essere?” è necessario lasciarsi illuminare da Gesù e dalla sua esistenza. Il nostro sguardo, da solo, può ingannarci.
“Illumina ogni uomo” nel senso che gli dà valore: dà valore a ognuno, perché a tutti egli dà dignità chiamando a seguirlo. Il discepolo non è prerogativa di una élite, non è riservato ai migliori. Il Signore non esclude in partenza nessuno. È possibile a tutti essere destinatari di una chiamata e di una missione. Perché l’amore che nobilita e abilita è rivolto a chiunque.
“Illumina ogni uomo” perché in ciascuno è donato un raggio della Sua luce. Lo sappiamo: con lo Spirito Santo questo avviene. In ogni battezzato c’è la Sua presenza. Ma prima ancora è vero per il fatto che ogni creatura porta in sé l’impronta di Colui per mezzo del quale tutto è stato fatto. Allo stesso modo delle impronte lasciate nella creta dal vasaio, in ogni essere creato, in forme diverse, possiamo rintracciare l’impronta del Dio creatore. E perciò del suo amore.
Ma nella prospettiva del capovolgimento delle logiche umane il Natale è il farsi carne del Verbo e il suo piantare la tenda in mezzo a noi (“venne ad abitare in mezzo a noi”).
È un altro modo per dire che il Verbo, la Parola creatrice di Dio si è unita a noi e alla vicenda umana. L’ho già ricordato nell’augurio dato attraverso i media: Egli ha fatto propria la nostra precarietà. Quella che ci fa tanto patire e tribolare in questo tempo. Quella condizione umana che volevamo negare a noi stessi, vivendo l’illusione di possedere il nostro domani, insieme al nostro presente. Il vivere sotto le tende è del popolo in cammino nel deserto, del popolo che aspira ad una terra dove abitare stabilmente, ma questa terra abita il suo futuro, la sua speranza. Non ancora il suo, il nostro ‘oggi’. Con il Natale il Signore ci riconsegna tutta intera la nostra provvisorietà. La condivide accettando di stare sotto la tenda e di fare strada con noi.
In realtà, proprio stando nella precarietà, ci è permesso di aprire la nostra vita e la storia ad un compimento, ad una meta non ancora raggiunta. La fede, radicata nel Dio-accanto-a noi, ci assicura che il compimento non è irrealizzabile, ma non è neppure il risultato della nostra opera: esso è donato da Colui che si fa nostro fratello.
Il Natale è proprio la conferma di ciò che troviamo nella lettera agli Ebrei, dove ci è detto che Gesù Cristo entrando nel mondo non si vergogna di chiamarci fratelli (2,11). Non si è vergognato allora e non si vergogna ora. Di nessuno.
Allora potrà essere un Buon Natale scoprendo che si sta manifestando la verità che ci dà speranza: il Figlio di Dio ci unisce a sé per essere e vivere da figli di Dio. Ancora una volta abbiamo la conferma che il Bambino di Betlemme, il Verbo della Vita, non si vergogna di chiamarci fratelli. Non per particolari meriti, ma per l’inaudito amore che ancora una volta si sta manifestando in questo Natale.
Buon Natale.