Chiesa di S. Francesco
Gen 3,9-15.20
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38
Stasera, in questi primi vespri della Solennità dell’Immacolata, ci troviamo qui a S. Francesco per un rendimento di grazie particolare: la presenza delle Figlie della Chiesa per il centro eucaristico diocesano, voluto dal mio predecessore mons. Enrico Manfredini. E, in un certo senso, è il voler raccogliere i frutti di questa intuizione pastorale, anche quelli a noi sconosciuti e ringraziare il Signore per la decisione di collocare in centro città un respiro eucaristico come spazio orante /adorante.
Il mistero che stiamo celebrando lo possiamo comprendere alla luce del racconto della Genesi della colpa di origine, che diventa origine di ogni peccato/colpa. La conseguenza che il peccato genera sta nella paura dell’uomo/donna di fronte alla voce di Dio che lo porta a nascondersi, perché cosciente della sua nudità (debolezza – fragilità – vulnerabilità). Di fronte al Dio che lo cerca l’uomo vive un sentimento di paura e una fuga da Colui che avverte addirittura come ostile, come una minaccia.
Maria, che veniamo a sapere dalle parole dell’angelo essere colma traboccante di grazia (è questo il significato dell’essere preservata, concepita senza peccato), non si nasconde, anzi, si fa incontrare da quell’annuncio così sconvolgente.
Il mistero dell’Incarnazione, la storia del Dio che si fa uomo, si innesta in un “sì” singolare: quello di Maria. Quando in noi la grazia agisce, nell’opera compiuta da Gesù, la nostra volontà aderisce alla volontà del Padre. E Maria è davanti ai nostri occhi a testimoniarci che in questa obbedienza, l’impossibile, l’in-credibile… prende forma. Al modo di un figlio nell’utero di una madre: con la forza che non dipende dalla donna/da noi, ma dalla azione dello Spirito che ci coinvolge e ci rende partecipi dell’evento di salvezza.
In questo momento il mio pensiero va ad un esempio di questi “sì” fecondi, generativi: la venerabile Maria Oliva Bonaldo, la fondatrice/Madre delle Figlie della Chiesa. Una vicenda interessante e tribolata insieme, la sua. Un’intuizione spirituale, quella di Madre Oliva, che ha richiesto ben 25 anni per venire alla luce; con una docilità, un’obbedienza paziente, con una libertà tale da pensare che quella intuizione potesse prendere vita indipendentemente da lei.
Noi spesso misuriamo la presenza di un istituto religioso per le cose che vengono fatte. Sono convinto che dobbiamo riconoscere il valore di una presenza religiosa per quello che è (cioè il segno di una vita consacrata), per quello che portano in sé (nel loro caso di un inizio fecondato dall’offerta e dal sacrificio, dall’essere frutto di un’obbedienza fiduciosa).
Le Figlie della Chiesa stanno facendo un grande dono alla nostra diocesi e alla città di Piacenza in particolare. Di offrire uno spazio che è segno della fedeltà del Signore che si dona. L’Eucaristia è la presenza del Signore Gesù nell’alto della sua offerta: la possibilità di adorarlo in questa ostia esposta è motivo di grazia. È lo stare davanti a lui nella nostra nudità, cioè per quello che siamo, senza maschere, senza ruoli, senza difese, sentendoci amati. Così. Semplicemente.
Ci garantiscono da cinquant’anni, al cuore della città, uno spazio di gratuità, di una inattività operosa: decidere di lasciare l’iniziativa a lui, il Risorto, il vivente che si affianca lungo la via, in Largo Battisti. Raccogliendo le tristezze e i desideri che abitano il cuore, Egli ci apre alla speranza. Così rende possibile il nostro “sì” alla vita e alla chiamata del Signore.