2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16
L’episodio della vita di Davide che ci viene proposto, e che abbiamo ascoltato, è quantomeno singolare. Come non si può sostenere questa bella idea che viene a Davide? Lui ha la sua casa, ha finito di combattere e quindi ha sconfitto tutti i nemici attorno a lui. Ha una terra, ma l’arca, l’arca di Dio, è in una tenda. Adesso è il momento di fare una casa, un tempio proprio al Signore. E il profeta Natan lo appoggia: “bella idea, non ti sei dimenticato del Signore. Il Signore sicuramente è con te, vai e costruisci la casa per lui”.
Ma entrambi vengono smentiti dal Signore. “Forse tu mi costruirai una casa perché io vi abiti?” E, dopo aver fatto memoria di chi è stato il vero protagonista della vicenda di Davide, il Signore annuncia: “io, io farò a te una casa”. Come mai questa reazione del Signore? Diciamo anche un po’ ingenerosa. Nel progetto di Davide quella casa, quel tempio avrebbero cambiato il rapporto con Dio. Davide collocava Dio in uno spazio circoscritto, lo ridimensionava impedendo, per così dire, a Dio di essere lui a condurre il gioco.
Quando relego il Signore in uno spazio ben preciso, il rischio reale è che ci siano poi spazi fisici o esistenziali sottratti alla sua signoria: “Lì mi arrangio io”. E in questo modo Davide può diventare il vero padrone della sua vita, della sua esistenza. Ma fin dal cammino dell’esodo era il Signore che faceva strada al cammino del Popolo. Era lui che indicava i tempi e i percorsi; tanto è vero, se ricordiamo, l’idolo, cioè il vitello d’oro che in qualche modo avrebbe voluto rappresentare il Signore, in realtà rappresentava un Dio con la “d” minuscola da esibire, da mettere davanti al popolo come un simulacro che dava identità, ma che era solo a servizio del popolo e del cammino che decideva il popolo, non quello che decideva il Signore.
E la dura condanna che lì il Signore aveva pronunciato qui la troviamo nella smentita decisa di fronte a un progetto che appariva agli occhi del Signore pericoloso.
A ricordare allora che ogni ispirazione va soggetta a discernimento, perché quello che chiamiamo il “buon senso” non necessariamente è anche la volontà del Signore.
Ecco allora come il Signore rilancia, ecco come il Signore rivela quale è la sua idea di casa.
Che sa più di tenda che di casa di muratura. E che quindi rinvia a una condizione di nomadismo, cioè di un cammino che non si esaurisce. Il Signore rivendica per sé il ruolo di guida per Davide, per il suo popolo, per quella che sarà la sua dinastia, per quella che sarà la sua casa, la casa di Davide, il suo futuro. Egli sarà guida su strade che dovranno percorrere Davide e la sua discendenza, sì con il Signore, ma dietro a lui.
Allora la casa dove abiterà il Signore sarà la famiglia, il casato, la dinastia di Davide. Dio, Lui si fa la casa, si fa la casa dando una discendenza a Davide. Fa una casa dove dimorare, assicurando per Davide un futuro. Lì Egli abiterà, Dio abiterà tra gli uomini.
E in Gesù, Figlio di Davide, Dio Padre mantiene questa promessa e fa di noi la sua casa.
La consolazione sta proprio nel fatto che Dio si accompagna a noi, si accompagna alla nostra solitudine abitandola. Proviamo a sentire questa consolazione, la consolazione nel sapere che nella carta d’identità del nostro Dio Padre, alla voce “residenza”, troviamo scritto: tra gli uomini, nella loro desolazione, come nella loro gioia.
Da tempo nei genitori dei ragazzi diversamente abili si fa strada forte e a volte angosciante la domanda: “e dopo di noi? Quando non ci saremo più o non saremo più in grado di provvedere a loro, quale sarà la loro casa?” Intendendo la loro famiglia, chi si prenderà cura di loro? Sono nate così queste case chiamate, appunto, “dopo di noi”.
Ecco, forse queste situazioni le possiamo considerare delle situazioni limite, ma se ci pensiamo c’è qualcosa dentro a questa preoccupazione che riguarda tutti.
Prima di tutto ci riguarda la domanda sul futuro, sul futuro nostro e sul futuro dei nostri figli. Cosa vuol dire garantire una casa? Garantire un futuro che sappia di casa, che sappia di casa abitabile, vivibile.
E poi il fatto che oggi, proprio in questa idea della casa, di un futuro, oggi io sono o posso essere e posso diventare la casa, il futuro per chi ci ha preceduto.
Noi abitiamo un presente che per qualcuno è stato motivo di angustia. Il nostro presente è ciò che preoccupava coloro che erano prima di noi. Siamo invitati, allora, ad essere casa, ad essere famiglia per chi oggi è particolarmente debole e vulnerabile. Siamo luogo dove Dio ha posto la sua tenda in mezzo agli uomini. Noi saremo casa se già oggi, se già ora, siamo a casa. Cioè, siamo il numero civico della residenza di Dio con noi.