Per il Natale un seminarista fece un presepe molto particolare che suscitò sorpresa perché era a filo terra e disagevole in quanto aveva un’apertura troppo piccola per riuscire a vederlo bene.
La risposta venne da sé quando capimmo che per vederlo dovevamo metterci in ginocchio. Era un invito che riguardava il Natale, come evento della fede, come pure un invito che si estendeva alla vita, alle cose, alle persone. Se vuoi avere lo sguardo giusto per vedere ed entrare nel mistero devi metterti in ginocchio: abbassarti, far silenzio e contemplare.
Proviamo a fare questo esercizio: guardare a livello dei bambini (è questa l’altezza di quando siamo in ginocchio), con la loro curiosità e il loro stupore, superando il confine tra rappresentazione e realtà. Nel presepe c’è un fuoco, la grotta, che a volte devi cercare perché volutamente non è in primo piano. Si può essere attratti e fuorviati da tanti piccoli particolari.
Osservando, scopri il posto di ogni personaggio: c’è chi è vicino, ormai giunto in prossimità della grotta.
Chi pur lontano è nella giusta direzione. Chi è solo, chi si accompagna a qualcun altro. Chi, pur essendo vicinissimo, sembra essere lontano, preso dalle sue cose. Incurante. Indifferente. Molti, impegnati nelle loro occupazioni e nel loro lavoro, rinviano la partenza, perché ci sono cose più urgenti a cui pensare.
Sarei tentato anch’io, come è abitudine a Napoli nella “Via dei presepi”, di dare forma a qualche nuova statuina che descriva oggi la nostra posizione nei confronti del Natale. Proprio quello del presepe. Quello che Francesco d’Assisi pensò di fare a Greccio perché venisse rappresentato in modo umano, tangibile ciò che nella fede celebriamo.
È proprio così la vita, è così il nostro rapporto con il Natale che stiamo per vivere. Il presepe non è solo un’installazione provvisoria. È un’istantanea della storia degli uomini. È uno specchio nel quale si riflette la propria posizione rispetto a quel ricovero di animali improvvisamente animato dal pianto di un bambino. Potrebbe aiutare farci la domanda: in quale statuina mi ritrovo? Ed invece, in quale desidererei trovarmi? Perché nel presepio ognuno ha il suo posto. Come ce l’ha nella vita. Qualche volta lo scegli tu, altre volte ti è assegnato dalle vicende dell’esistenza.
Spesso si arriva a Natale dovendo confessare amaramente: “speravo di prepararmi meglio”. “Mi ero ripromesso ben altro”. Altre volte si constata che il Bambino dell’ultimo Natale non ha trovato spazio nella propria vita. Anche Lui deposto nella scatola, tra le statuine rimesse in ripostiglio. L’Epifania non solo tutte le feste porta via, ma non di rado porta via anche i migliori propositi. Delusione? Tristezza? Rassegnazione? Oppure sorpresa di fronte al venire di Dio che instancabilmente ci raggiunge. In modo così gratuito che mette in conto la (reale) possibilità che sia invano. Ancora una volta, anche quest’anno. Egli ritorna e nasce per chi è in cammino e coltiva il desiderio di giungere ad incontrarlo, come pure per chi avrà altro a cui pensare. Viene incontro a tanti giovani, ma non solo, che neanche mettono in conto che il Natale abbia a che fare con la loro vita. Nasce per fare spesso cammini a ritroso per illuminare quelle situazioni che sono avvolte dal buio. Nasce per animare la speranza che la pace sia possibile. Senza che sia la sconfitta di qualcuno. Nasce per affiancarsi a chi è occupato esclusivamente a realizzare i propri progetti, facendo intuire che non sono le cose che facciamo a dare senso al nostro vivere, ma un amore che ci precede e ci rassicura. Perché l’opera delle nostre mani rimane sempre un idolo. Fatuo.
Natale è l’irrompere di un Dio che si abbassa, in un’umiltà esagerata. Un Dio che non si arrende fintantoché non trova una qualche fessura dove porre la sua presenza di amore.
Buon Natale!
† Mons. Adriano Cevolotto
vescovo di Piacenza-Bobbio
FONTE: IL Nuovo Giornale n 49 del 22/12/2022