Gen 12,1-4;

1Cor 19,16–19.22-23;

Lc 9,57–62.10,6

 

Questo mio primo San Colombano, a qualche settimana dall ingresso in diocesi, è segnato pesantemente dal momento che stiamo vivendo. Penso alle limitazioni, compresa la paura, che hanno impedito a molti di salire a Bobbio e di celebrare insieme il Patrono. Ai fedeli e sacerdoti della nostra diocesi, come pure ai fratelli e confratelli della Chiesa irlandese che da tempo non mancavano di partecipare a questa celebrazione. Il vescovo di Belfast ci ha fatto pervenire la sua partecipazione. E noi lo ringraziamo. Nel loro venire veniva ripreso il cammino iniziato da Colombano e dai suoi compagni, e mai concluso, grazie al quale i popoli, l umanità intera, le Chiese trovano percorsi di incontro, di scambio, nei quali riconoscono e costruiscono legami fraterni.

Al saluto a voi qui presenti in abbazia a Bobbio (al Vescovo Gianni, ai sacerdoti, ai diaconi, alle autorità e ai fedeli tutti), si unisce il saluto a quanti stanno partecipando alla celebrazione in diretta streaming.

Oggi questi strumenti sono nuove strade che ci permettono di mantenere legami e di creare momenti di condivisione nella fede.

La Sacra Scrittura diventa Parola di Dio quando viene celebrata e ascoltata nella liturgia (come sta accadendo ora); nell ascolto orante della lectio divina, di cui i monaci sono i primi custodi e maestri; diventa ancora Parola di Dio nella preghiera condivisa. E poi c è un altra modalità grazie alla quale la Scrittura custodisce e comunica tutta la sua forza viva: è la santità, la vita santa di tanti fratelli e sorelle che sono esegeti, con l esemplarità di vita, di pagine del Vangelo. Attraverso di loro la Parola del Signore ci raggiunge e, riscaldando il cuore, alimenta il desiderio di seguirla e di affidarsi ad essa.

Possiamo dire che le pagine della Scrittura che la Liturgia oggi ci ha offerto trovano in San Colombano, nella sua vita e nei suoi scritti, un interprete di quello che il Signore ci rivela. Raccolgo alcuni passaggi della Parola di Dio che ci raggiunge attraverso il nostro Santo.

Con Abramo il Signore Dio inaugura un rapporto con l’uomo segnato dal verbo partire, lasciare. Qualcuno potrebbe osservare che le migrazioni appartengono alla storia dell umanità fino ad oggi. Il fenomeno è infatti sotto i nostri occhi. Ma Abramo vive un comando del Signore, un comando irresistibile, di lasciare: lasciare la terra (che è il luogo dove si abita, che garantisce il necessario per vivere, che dà sicurezza); lasciare il clan (vale a dire l’orizzonte culturale/sociale che assicura un contesto di vita e di relazioni); lasciare la casa del padre (cioè i legami famigliari, ciò che dà sicurezza al cuore, che dà la certezza di poter contare su qualcuno). Abramo riceve questo comando: “vattene”, parti, alla lettera “vai verso di te”. Ed esso è accompagnato da una promessa, in realtà molteplice: la promessa di una nuova terra dove abitare (sconosciuta, ma che il Signore indicherà); la promessa di un popolo (una discendenza); e di un ‘nome’ (che coincide con una nuova identità) che diventa benedizione per tutta l umanità. Il Signore Dio promette ad Abramo: tu diventerai una benedizione per chi ti incontrerà.

Colombano vive ed entra nella medesima dinamica di fede. Dopo aver lasciato la sua famiglia, con le attese e i progetti che aveva riposti in lui, entra in monastero. Ma dopo qualche decennio trascorso a Bangor sente forte l anelito, l’urgenza di partire per vivere la peregrinatio pro Christo. Vale a dire l’andare per Cristo e in nome suo, per portarlo a tutti, essendo lui stesso il primo ad essere condotto da Cristo. Dovrà aspettare il consenso del suo Abate che non arriverà subito. Abramo lo associamo alla condizione dei giovani chiamati ad iniziare un cammino vocazionale, relegando così quel comando del Signore ad una stagione della vita. La stagione delle scelte di vita. In realtà Colombano riceve la chiamata a partire, o meglio a ripartire, quando aveva circa 50 anni (di quel tempo!). E parte verso una destinazione sconosciuta. Parte fiducioso, con speranza verso una mèta che raggiungerà solo dopo 24 anni. Colombano ci conferma che l’invito del Signore è valido per ogni stagione della vita. C è un lasciare che è la condizione dell uomo/ della donna credenti, del discepolo in quanto tale. Qui ci viene incontro la pagina del Vangelo ascoltata, nella quale al seguire Gesù è unito un invio, un andare “due a due”. A Colombano è affidata la compagnia di altri 12 monaci, scelti dall Abate, a ricordare che non scegliamo noi i compagni di viaggio, ci vengono dati. Ci vengono consegnati. Con loro si va. Con loro si costituisce un popolo. Con loro si dà vita ad un futuro e si diventa una benedizione. Colombano non è un eremita, suscita attorno a sé una famiglia, una comunità, una fraternità che diventa benedizione laddove approda. Papa Francesco nell enciclica “Fratelli tutti” scrive che: «abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la casa comune» (n. 17).

Nella prospettiva suggerita dalla Parola di Dio e testimoniata da Colombano, proviamo a stare in questo modo nel tempo della pandemia, che in genere patiamo perché si prolunga e ci sembra interminabile. È una situazione che stiamo vivendo in modo esasperato sicuramente a causa della velocità che sta modificando la percezione del tempo e la risposta ai bisogni. I giorni ci paiono mesi, le settimane un tempo troppo lungo, insostenibile. L’attesa quasi insopportabile.  

E se invece questo nostro oggi fosse un appuntamento, un invito a partire, a lasciare? Se dentro il nostro patire odierno ci fosse una promessa? In questo caso potrebbe cambiare il nostro sguardo e potremmo abitare la condizione attuale con fiducia e con speranza. È vero che non abbiamo scelto la condizione nella quale ci troviamo, ma la possiamo accogliere e fare nostra. In breve tempo ci sono stati strappati legami, legami cari. Sono cadute certezze (a noi che vivevamo con poca incertezza rispetto al futuro, che ci eravamo assicurati rispetto ad ogni possibile imprevisto). Sono venute meno tante sicurezze (economiche, sociali, sanitarie). Improvvisamente non è più come vivevamo solo qualche mese fa. Siamo stati costretti a lasciare quella ‘terra’, ciò che rappresentava la nostra tranquillità.

E ora ci troviamo in cammino verso la nuova terra, un domani nuovo, un nuovo modo di abitare la vita, il tempo, le città, le relazioni, gli impegni, le responsabilità.

E a ben guardare questo tempo ci sta già consegnando una conquista: si è eroso il piedistallo del diffuso individualismo. Ci sentiamo molto più dipendenti gli uni dagli altri. L affermazione che avevamo fatto nostra che “è meglio non aver bisogno degli altri” ora si sta dimostrando incapace di dire la realtà dei fatti. Abbiamo veramente bisogno degli altri: gli uni degli altri. Sono cadute tante illusorie sicurezze e presunzioni. Mi sto chiedendo se coloro che continuano a negare l’esistenza del contagio in definitiva non stiano cercando di difendere a denti stretti le posizioni dell individualismo esasperato, che la realtà ha fatto crollare. Si arriva a negare la realtà perché è troppo doloroso abbandonare le proprie certezze. Possiamo veramente ripartire, o meglio incamminarci, non aspettando che finisca qualcosa, ma piuttosto raccogliendo l’invito che oggi ci è stato rivolto, scoprendoci reciprocamente una benedizione l uno per l altro: “Grazie a Dio ci sei! Dio ti ha messo accanto a me”. Questa condizione può diventare occasione per costituire un “noi”. Anzi di ricostituirci in un “noi”, di riscoprire quello che, forse, avevamo smarrito. Il Signore è dentro a questo momento con una Parola che riesce a dar senso e futuro.

Interceda per noi San Colombano perché questo tempo diventi un vero itinerario spirituale (condotto dallo Spirito Santo che rigenera), personale e comunitario. Un itinerario di purificazione e di approdo ad una ‘terra nuova’.