Papa Francesco nel messaggio al Convegno del 4 novembre scorso in Vaticano ci ha ricordato che quello verso la tutela dei minori è un cammino di continua conversione personale e comunitaria. Non è di qualcuno, è di tutti. Un cammino di Chiesa. Un cammino di corresponsabilità e di purificazione.
Come ci appartiene il tanto bene ‘educativo’, che è stato e continua in vari modi ad essere profuso nella comunità cristiana, non da meno dobbiamo sentire attaccato a noi anche il male che può essersi insinuato tra di noi, tra le nostre attività, nelle relazioni formative. Ogni situazione umiliante si deve trasformare in umiltà: “non siamo migliori degli altri”.
Come Chiesa abbiamo imparato – anche se a volte con imbarazzo – a chiedere perdono per il male commesso prima di noi, perché vorremmo evitare di cadere in una pericolosa presunzione che ci fa pensare di essere esentati dal male. Il male fa male. A tutti.
Per questo motivo stasera pregando in modo particolare per le vittime degli abusi (di qualsiasi genere), preghiamo anche per noi, perché il Signore ci doni la grazia di non presumere mai di noi stessi e di progredire sempre nell’autentica carità educativa.
La pagina evangelica del ‘buon samaritano’ ci aiuta a rimanere in ascolto del Signore che illumina la nostra vita.
Al centro della scena c’è una vittima, senza nome (non è questo che ci deve interessare), come senza nome sono i briganti che l’hanno riotto in questo modo. Né interessa come e perché sia avvenuta questa violenza.
Ciò che è descritto invece è che la violenza ha preso forma nel ‘cadere nelle mani violente di qualcuno’, nel privare un essere umano di tutto (per l’appunto spogliato), anche della sua dignità, percosso a sangue, abbandonato ‘mezzo morto’.
La violenza non si può misurare negli effetti: provoca una vera e propria condizione di morte che è iscritta nel corpo e nell’anima, anche se si è ancora vivi. Le conseguenze sono profonde. Eppure la violenza sembra non avere limiti perché l’indifferenza di chi vede e passa oltre, è violenza su violenza. La solitudine, l’ostilità si manifesta anche attraverso uno sguardo in-curante. C’è complicità anche nell’indifferenza, nello sguardo che non vede. Partecipa della stessa violenza.
Quando accanto a noi succede qualcosa che ci sorprende non ci resta che chiederci perché non abbiamo visto, perché non abbiamo ascoltato, chiesto o compreso… o forse perché non abbiamo voluto vedere-ascoltare-chiedere-comprendere?
Il male deve essere combattuto con una cultura preventiva di cura, ma qualora si fosse compiuto esso invoca la cura che il Samaritano mette in atto in maniera esemplare.
Prima di tutto guarda (e non solo vede) provandone compassione. Si lascia raggiungere nelle viscere da ciò che vede. Quella situazione lo coinvolge non solo emotivamente (di questo siamo anche capaci) perché si ferma, si accosta. Questo tale che non conosce lo riguarda. Non avanza alibi per passare oltre. Notiamo che non è il medico, lo specialista che interviene, non è di sua competenza la guarigione di questo tale e della sua ferita. La sua qualifica è di essere prossimo. Si fa carico della sua condizione e, riconoscendo i propri limiti, ricorre ad altri. Non lo scarica, lo affida a chi può prendersi cura.
E nella cura è previsto anche il ritornare: è la fedeltà della cura, è la responsabilità che si prolunga nel tempo.
Essere consapevoli che le ferite della violenza, dell’abuso sono profonde ci richiama prima di tutto a non sottovalutare mai le conseguenze del nostro agire. A mettere in atto la cura delle relazioni e l’attenzione a vigilare sulla loro qualità.
È anche consapevolezza che c’è un livello profondo di guarigione che appartiene all’ordine della grazia di Colui che accoglie e ospita tutti (ben rappresentata dalla figura dell’albergatore: colui il cui nome è accoglienza e basta! Perché solo Colui che è all’origine della nostra dignità di figli/e amati/e può ripristinare l’immagine compromessa dall’abuso.
E dal momento che il male fa male anche a chi lo commette, che lo segna profondamente nella sua identità, stasera ricordiamo nella preghiera anche chi abusa, perché il Signore ripristini in loro la stessa dignità di figli compromessa con la violenza compiuta verso figli dello stesso Padre.