Ap 7,2-4.9-14
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12
Ho chiesto di celebrare appena possibile in questa comunità segnata dalla morte per Covid di Don Paolo, vostro parroco. E leggo come sia provvidenziale che questo avvenga nella solennità di Tutti i Santi, che poi è vigilia della commemorazione di tutti i defunti. Allora chiediamo al Signore che sia la solennità della Santità ad illuminare la nostra celebrazione e il nostro ricordo.
Il libro dell’Apocalisse, dal quale è stata tratta la prima lettura, è rivolto ad una chiesa tribolata e per questo disorientata. L’avversità mette alla prova il presente e mina lo sguardo sul futuro. Allora queste molteplici visioni del cielo (San Giovanni ripete: “io vidi”), lanciano una luce su questa terra oscurata.
Per questo il cuore della rivelazione è proprio ciò che sta capitando qui-ora. A questa comunità messa alla prova. Sì, è questa la preoccupazione di questo ultimo libro della Bibbia, e avvertiamo quanto sia attuale. Anche questa nostra condizione sta minando lo sguardo sul futuro, prova ne sia la domanda che sale spontaneamente: ma finirà? Quando? Con tutta l’inquietudine e la paura che l’incertezza genera in noi. Ecco allora la visione: “vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. E gridarono a grande voce: «la salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono e all’Agnello»”.
Lo sguardo è posto sulla moltitudine dei Santi, cioè di coloro che gridano con la loro voce e la loro vita che la salvezza non è nelle nostre mani, ma nelle mani di Dio. È una santità che non riusciamo a contare, che sfugge a qualsiasi nostro sguardo. È più grande di noi. Quanto sono miopi i nostri occhi che vedono solo il male, che si lasciano prendere da quello che fa rumore. Il bene non fa notizia, perché non solletica la curiosità, non genera morbosità, non alimenta il malumore. Noi siamo circondati da santità, cioè da amore, da relazioni che sostengono, che ci sono necessarie. Ce ne siamo accorti con il lockdown, quando esse ci sono venute a mancare o sono state ridotte.
Quando una persona cara ci manca ripetiamo: “quanto mi manca!”. Spesso sono le piccole cose quotidiane, i gesti, le parole, la presenza a lasciare un vuoto. E questo ci conferma di quanto fosse vita per noi, amore, dono.
Insieme c’è una considerazione importante da fare: se tutto è nelle mani di Dio Padre significa che nulla va perduto, tutto viene salvato. Tutto il bene che è stato seminato non appartiene al passato, ma genera un futuro, in noi e nella nostra comunità. Quello che siamo è frutto di tanta santità che ci ha preceduto, che per lo più noi non conosciamo né conosceremo. Il Padre, custodendo la nostra identità nel futuro, custodisce anche quello che in noi è stata vita in Lui, ciò che è stata partecipazione al suo Amore.
Ho letto la testimonianza su Don Paolo resa dalla sorella. Ho intuito di quanto preziosa sia stata la sua persona per la nostra chiesa, per il presbiterio di Piacenza-Bobbio, oltre che per i suoi cari. Egli ha amato la comunità che gli era affidata, con l’attenzione a camminare insieme, rispettando i tempi di tutti. La sorella diceva: “una meta si raggiunge sul passo dei più lenti”, ma aggiungo “con il cuore dei sognatori”. C’è bisogno di santi, cioè di persone che vedono oltre il presente. Uomini e Donne delle beatitudini che, come abbiamo sentito, sono coloro che fanno affidamento sulla promessa di un futuro che oggi non appare. Beati sono coloro che confidano che nessuna avversità, sofferenza, ingiustizia possa impedire al regno di Dio di prevalere.
Beati sono coloro che nella notte riescono a trovare i sentieri che nessuno vede. Beati sono coloro che sanno testimoniare la speranza in colui che è più forte della morte. La morte nostra e quella delle persone a noi più care. Affidiamo al Signore questa storia di santità che ci precede, perché essa segni anche il nostro futuro.