Is 7,10-14
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24
Dopo un anno si rinnova nella nostra Cattedrale un momento di grazia personale ed ecclesiale insieme: l’ordinazione diaconale di Emanuele e Carlo. Grazia perché viene donato, mediante l’azione dello Spirito Santo, un carisma a servizio della comunità cristiana. Un dono stabile che è legato alla persona dell’ordinato, che è preceduta ed accompagnata dalla forza dello Spirito Santo che provvede al bene di tutta la chiesa e del Vangelo. Si tratta del sacramento che afferma il primato del servizio, della diaconia.
Lasciamoci condurre dalla Liturgia della Parola, che interroghiamo perché ci dica a quale servizio sono affidati questi nostri fratelli.
S. Paolo scrive di sé, a mo’ di biglietto da visita, “servo di Cristo Gesù”. Il termine greco che traduciamo con ‘servo’ è ‘doulos’, che indica lo schiavo. La prima e fondamentale profezia che il diacono vive è di essere al servizio di Cristo Gesù. E’ il modo per dire la signorìa di Gesù su di noi e sulla storia. E’ lui il Signore/il padrone della nostra persona. In realtà è Signore perché si è fatto servo. Ha dato compimento alla figura profetica del servo di Jahvè. Il diacono, con gli impegni che si assume, è invitato a manifestare il primato effettivo di Lui: è disponibilità ad anteporre il servizio ad altre priorità. E’ questo il significato del tempo da dedicare alla preghiera e all’ascolto della sua Parola. La diaconia è ricevuta continuamente nella relazione con Gesù – servo.
L’angelo invita Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria, tua sposa”.
Giuseppe è invitato a mettersi a servizio della storia di salvezza ‘prendendo con sé Maria’. Prima di qualsiasi gesto, del servizio che l’altro può chiedere, è necessario prenderlo con sé, farlo entrare nella propria vita, sapendo che come in Maria, c’è un’azione dello Spirito Santo da scoprire e a cui mettersi a servizio. Si è consapevoli che questo atteggiamento di accoglienza ti cambia la vita perché non sei più padrone di te. Non è casuale che sia anteposto l’invito a ‘non temere’.
L’altro può suscitare timori, l’altro irrompe e sconvolge la vita. Giuseppe ricorda a voi/a noi tutti che la nostra “piccola” vita, piccola perché all’apparenza marginale, è decisiva nella grande storia della salvezza. Anche se Giuseppe tornerà nel nascondimento. Altrettanto vale per il diacono. Non c’è protagonismo né riconoscimenti particolari nell’essere servo: “solo servo”, ricorda Gesù nel vangelo. Con Maria, Giuseppe fa entrare Gesù nella sua vita: è questa la porta di ingresso del Signore nella nostra vita. Vale a dire il volto e l’umanità dei fratelli. Soprattutto quelli da amare nel servizio.
Il servizio diaconale non si sa dove porterà, di sicuro la vicenda di Giuseppe non fa intravedere altre strade che quella che Gesù ha percorso. Fatta di gioia e di tensioni, di accoglienza e di rifiuto o tiepidezza. Se la strada è quella di Gesù, non c’è un ambito preciso dove è previsto il servizio diaconale (ecclesiale o pastorale). Non si tratta di indossare un abito liturgico, ma un grembiule molto quotidiano. E’ una postura che attraversa ogni ambiente nel quale continuerete a vivere le relazioni (famigliari/comunitarie), la professione, gli spazi della responsabilità civile…Essere segno di Gesù–servo è una progressiva conversione a Colui che non è venuto per essere servito ma per servire. In questo suo porsi originario sarà possibile che anche le vostre esistenze possano narrare la gioia del farsi dono. Del farsi servo, schiavo. Nell’amore.
Il Signore porti a compimento un’opera solo iniziata, destinata a compiersi nella comunione con Gesù che oggi si impegna a vivere con voi.